Nietzsche continua a creare interesse e turbamento, non solo in Italia. In Francia è uscito in questi giorni un numero speciale di Magazine litteraire”, che propone una serie di articoli di filosofi e critici d’Oltralpe sul pensiero del “redivivo” tedesco-polacco. “Redivivo”, perché Nietzsche fu ignorato o quasi dalla filosofia ufficiale fino a metà Novecento, poi scoperto, male interpretato e dalla seconda metà sottoposto a un’analisi critica faticosa e contraddittoria.
L’oggettività è quasi sempre un traguardo difficile, anche per critici e storici disincantati, ma verso Nietzsche è addirittura impossibile, perché l’autore è di quelli che si odiano o si amano, ma non si possono rifiutare, perché, come scrisse Valery: « Nietzsche eccitava in me la combattività dello spirito ». Forse Valery, involontariamente come accade agli artisti, riuscì a riassumere meglio di tanti analisti il vero rapporto tra lo scrittore e il lettore: l’eccitamento. Ovviamente, dopo resta la causa di quello stimolo: o un amore o un odio, che, certo, non aiutano l’oggettività del giudizio.
Suppongo di appartenere alla categoria di coloro, che riescono a rimanere indifferenti o, almeno, distaccati, e, allora, cerco di individuare il punto focale del pensiero di Nietzsche, che, per quanto appaia asistematico e frammentario, non può non avere un fulcro, che individuo nel problema morale e, nell’ambito di questo, nella sua genealogia, intorno al quale mi pare che ruoti tutto il suo mondo e il suo modo di pensiero, comprese le opere anteriori alla Genealogia della morale. In sintesi: Nietzsche non è un filosofo della morale, ma un “moralista” e questo costituisce, tra gli altri, il suo limite più penalizzante. Nietzsche sostiene che il senso di colpa, schuld in tedesco, trae origine dal fenomeno del diritto delle obbligazioni, di un “dover dare” avendo prima ricevuto e dalla situazione che seguirebbe al mancato adempimento. Questa risalita alla radice originaria del concetto sarebbe la prova che la colpa, fulcro del problema della morale, ha un’origine “non morale”. Qui sta il punto, che può spiegare perché ritengo che Nietzsche non sia un filosofo della morale, ma un “moralista”. Un filosofo, almeno tradizionale, non affermerebbe mai che il diritto delle obbligazioni è al di fuori della morale ed essere, invece, la radice, da cui si dipartono le deformazioni del concetto di morale imposte nel tempo dalla religione. Un diritto, un qualsiasi diritto, senza una morale a cui fare riferimento è arido, vuoto al punto che non potrebbe resistere nel tempo e se la colpa fosse un fenomeno del diritto delle obbligazioni, nel senso che un mancato adempimento ne fosse l’origine, allora qui starebbe proprio la prova che la morale è la radice dello schuld e non viceversa. Nietzsche ha fallito anche su questo.
Creare e diffondere errori, provare un senso di colpa e reagire a se stesso con un rovesciamento dei valori come mezzo per riscattare la propria colpa, una specie di impiego del male contro il male, sembra il destino di quest’uomo tragico, afflitto da due follie, quella procuratagli dalla sifilide e l’altra congenita. La grandezza di Nietzsche è proprio in questa sua umanità troppo umana, da cui ha cercato, invano, di svincolarsi credendo di poter istruire l’uomo a vivere nel superumano. Non poteva far nulla contro questo suo destino di erede di una dinastia di predicatori e lui stesso predicatore mancato. Infatti, filosofò per aforismi, parola derivata dal greco, che significa “definizione”, strumento tipico del retore e del predicatore, cadendo, così, in una contraddizione personale.
Povero e sofferente Nietzsche! Non sei scrittore per critici o filosofi. Ti siamo grati per averci dimostrato, senza saperlo e pagando un prezzo altissimo in sofferenza, che anche quando l’uomo vuol superare se stesso, resta uomo.