Nel capitolo XX del Primo libro dei “Saggi”, che si intitola Filosofare è imparare a morire, Montaigne riporta due versi dal De rerum natura del poeta latino Lucrezio: Inter se mortales mutua vivunt Et quasi cursores vitaï lampada tradunt. Montaigne cita, ma non commenta. La traduzione – solitamente così proposta: “I mortali vivono di mutui scambi e come corridori si passano la fiaccola della vita” – non rende appieno, né lo potrebbe, il senso profondo a cui rinvia la metafora della “lampada”, passata come testimone da un atleta all’altro. C’è un quasi, che non si lega solo a cursores, ma, inavvertitamente e non grammaticalmente, anche a mutua più che a mortales. Gli uomini si passano la lampada perché sono mortali e non possono reggerla che per breve tempo, meno di quello che impiega un corridore, ma in quel tempo essi vivono in mutua, cioè nella solidarietà. Lucrezio è un poeta che usa la filosofia solo come strumento e Montaigne non gli rende piena giustizia richiamandolo sotto quel titolo. Non sono i philosophi che mutua vivunt, ma i mortales, cioè: non una categoria eletta di viventi, ma tutti gli uomini, che riescono a sopravvivere per l’attimo in cui si passano la lampada, perché vivono in “solidarietà”. C’è un’ansia nei versi di Lucrezio, che sembra andare oltre la sua osservazione del comportamento antropologico. Sembra di avvertire tutto il vuoto che solo il Cristianesimo riuscirà a riempire. Se è così, Lucrezio è andato ben oltre Epicuro e spiegherebbe la predilezione che di lui ebbe il Virgilio quasi cristiano. Quei versi di Lucrezio aiutano a capire il senso profondo della risposta che Gadamer, il padre dell’ermeneutica contemporanea, dà alla domanda: “che cos’è la prassi?”. Risponde il filosofo tedesco: « La prassi è trattenersi ed agire nella solidarietà. La solidarietà è perciò la condizione determinante ed il fondamento di ogni ragione sociale.» Il mutua vivunt di Lucrezio si fa prassi, cioè solidarietà non affidata al fugace momento del passaggio della lampada, ma vissuta giorno per giorno da mortales, che trattenendovisi sono quasi cursores della vita, cioè “più che corridori” degli stadi.