La riapprovazione del bilancio

Sommario:

  • Componenti del bilancio
  • La giurisprudenza di Cassazione sul punto
  • I limiti al potere funzionale del giudice
  • Funzione degli organi di controllo
  • Conseguenze

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1 – Componenti del bilancio
Se non si vuol entrare in particolari, che implicano anche analisi esegetiche non facili e con risultati incerti tra il de iure condito e il de iure condendo, ove il condendo comprende anche i Principi contabili in continua evoluzione, bisogna ripiegare su una definizione generica del tipo: il bilancio è un pacchetto di documenti destinato:
– ai soci, che, esaminandoli, possano esprimere un giudizio assembleare di approvazione o di reiezione. Essenzialmente, ma non esclusivamente, il pacchetto è formato da una situazione contabile consuntiva, che fotografa gli equilibri finanziari, patrimoniali ed economici alla data di chiusura dell’esercizio, corredata da una “Relazione sulla gestione” resa dagli amministratori ex art. 2428 cod. civ. e da un rapporto-giudizio dei sindaci ex art. 2429 cod. civ. e, occorrendo, del revisore contabile
– e, con la pubblicazione, anche ai terzi, data la natura imperativa delle relative norme dettate a tutela di un interesse generale.
Interventi del legislatore nazionale e di quello comunitario, di commissioni per la formazione di principi contabili di “comune accettazione” animate da foga nomotetica, impongono regimi dietetici di ingrasso documentale che aumentano peso e volume del “pacchetto”, con l’obiettivo di fornire ai soci quante più informazioni possibili, ma con il rischio di mettere in vetrina anche strategie aziendali, spesso più a vantaggio di soci praticanti il filibustering e dei concorrenti avidi di notizie per le proprie politiche di marketing. Nonostante la dovizia di informazioni, il bilancio diventa sempre più tecnico e di difficile analisi per i soci e i terzi e dilagante diventa la prassi di proporre la non lettura in assemblea dei documenti che compongono il pacchetto. Il tentativo di far predisporre agli amministratori nella loro relazione una specie di analisi del bilancio attraverso l’elaborazione di indici (ratios) può anche essere encomiabile in opportuna contrapposizione ad una prassi di alcuni decenni fa di compilare bilanci striminziti e criptici. Però, non ci si rende conto che il modo più subdolo per non essere letti è quello di fornire una tal mole di dati che stancano anche i lettori più volonterosi. Comunque il bilancio, prima e dopo le riforme, resta un fatto da analisti professionali, come ben rilevò il tribunale di Vicenza in articolata sentenza 23 marzo 1999 (Vedi rivista Dir. fall., 1999, II, pag. 566), che, interpretando il principio di chiarezza, affermò che in nota integrativa gli amministratori non sono tenuti a dare spiegazioni su ogni singola posta dello stato patrimoniale e del conto economico, ma quelle informazioni che l’art. 2427 cod. civ. richiede che siano date perché un bilancio possa fornire ai terzi “capaci di leggerlo”, informazioni in maniera chiara sulla composizione quantitativa e qualitativa delle voci del patrimonio della società. Quindi non per quisque de populo, ma a chi ha sufficiente cultura aziendalistica per una consapevole lettura.
 
2 – la giurisprudenza di Cassazione sul punto
Il manicheismo imperante in tema di impugnativa della delibera di approvazione del bilancio è mitigato dalla  Corte di cassazione, di cui si può prendere come esempio la sentenza 2 maggio 2007, n. 1013 (in rivista “Le società”, 2008, n. 1, pag. 53, con commenti di F. Platania e P. Balzarini) dalla quale i commentatori prendono spunto per rilevare che non tutte le irregolarità compiute nella redazione del bilancio assumono lo stesso rilievo in tema di invalidità della delibera; in particolare, per ogni fattispecie dovrà essere adeguatamente valutata la rilevanza della irregolarità in rapporto alla formazione del risultato complessivo di esercizio . Il riferimento da tenere in considerazione è il “principio di rilevanza”, che è di carattere pratico e quantitativo, nel senso che è improponibile una impugnativa motivata con eccezioni che siano ininfluenti in concreto, visto che non è la singola posta che deve formare oggetto di contestazione, ma il suo valore correlato ad altri valori del bilancio, nelle sue tre componenti di equilibrio finanziario, patrimoniale ed economico. Cioè, si deve porre la domanda: “rilevante” in rapporto a che cosa? Poiché trattasi di principio di merito, la risposta va data caso per caso e gli esempi non sono strumento di generalizzazione. In alcuni casi la rilevanza può essere in relazione al patrimonio netto o al risultato dell’esercizio, in altri alla massa dei ricavi, in altri ancora al valore complessivo del magazzino. Anche la giustizia deve rispettare il principio di economicità, che, più che un principio giuridico, è riferimento di buon senso, la cui violazione può integrare casi di “abuso del diritto” da parte della minoranza o del singolo impugnante. Diversamente la “giustizia” cadrebbe in contraddizione con se stessa, perché diventerebbe priva di giustificazione.
 
3 – Limiti al potere funzionale del giudice
 
Se le irregolarità denunziate dall’impugnante della delibera di approvazione sono ritenute fondate, perché lesive dei principi sanciti dall’art. 2423, comma 2, cod. civ. e segg., il giudice ne dichiara l’annullamento a sensi dell’art. 2377 cod. civ. Si noti che n questo articolo non sono trattati casi di nullità della deliberazione, tassativamente previsti dall’art. 2379 cod. civ.. Ma quali sono i limiti del potere di annullamento del giudice? Nel nostro diritto societario, in presenza di una delibera di approvazione illegittima del bilancio, se accolta, il giudice di qualsiasi grado non può emettere sentenze di approvazione giudiziale alternativa del conto, ma deve fermarsi alla indicazione delle violazioni dei principi e al loro apprezzamento che costituiscono la motivazione della sillogistica conclusione, cioè del P.Q.M., che deve limitarsi a dichiarare l’annullabilità o la nullità, che comporta, in modo esplicito o implicito, l’assunzione di una nuova delibera correttiva o sostitutiva, purché in presenza di violazione del generale principio di rilevanza. In termini più perentori: non esiste nel nostro sistema l’approvazione giudiziale del bilancio, che è di sola competenza dell’assemblea previe le attività preparatorie degli amministratori.
Questa conclusione intermedia è di grande importanza e per spiegarla nelle sue evoluzioni successive consideriamo che dopo la sentenza possono verificarsi situazioni come:

  1. gli amministratori restano in inerzia;
  2. gli amministratori contestano nella proposta all’assemblea convocata per una nuova delibera per un nuovo bilancio: le motivazioni e le conclusioni della sentenza, pur sottoponendo all’assemblea il nuovo bilancio adeguato;
  3. l’assemblea, o meglio la maggioranza assembleare, approva un nuovo bilancio diverso da quello adeguato alla sentenza, che potrebbe anche essere una soluzione intermedia tra il vecchio bilancio e il nuovo sottoposto a delibera;
  4. l’assemblea rigetta il nuovo bilancio e riapprova senza modificazioni il precedente annullato.

Premesso che:

  • Il bilancio è un atto a formazioni successive, il cui iter si conclude con la pubblicazione al Registro delle Imprese;
  • l’assemblea è sovrana e non ha responsabilità.

 
Quid iuris nelle quattro ipotesi elencate?

  1. Inerzia degli amministratori. Se gli amministratori non provvedono a riassestare il bilancio e convocare una nuova assemblea di riesame, possono subire azione di responsabilità ex art. 2392 cod. civ. e denunzia ex art. 2409 cod. civ. con eventuale intervento da parte del Tribunale. Quindi l’inerzia è comportamento sconsigliabile, a prescindere dalla condivisibilità dell’ordinanza connessa all’accoglimento dell’azione di annullabilità ex art. 2377 cod. civ.;
  2. esecuzione dell’ordinanza di riproposizione di un nuovo bilancio. Agli amministratori non è impedito di esporre in una relazione all’assemblea le loro perplessità sulle motivazioni della sentenza di annullamento del precedente bilancio e la loro non condivisione sulle rettifiche di adeguamento all’ordinanza giudiziaria; ciò, oltre che per giustificare il loro precedente operato; anche per porre l’assemblea riconvocata di assumere le proprie deliberazioni;
  3. per il principio generale che il bilancio è un atto a formazioni successive l’assemblea riconvocata, nella sua sovranità, può approvare un nuovo bilancio diverso dal precedente, ma difforme da quello derivabile dai principi espressi nelle motivazioni della sentenza di annullamento;
  4. sempre per il principio di sovranità, l’assemblea può rigettare il nuovo bilancio e confermare quello ritenuto annullabile dalla sentenza.

I casi c) e d) potrebbero essere la conseguenza della non variata maggioranza in assemblea e, se non può intervenire in sostituzione una approvazione giudiziale dei conti, ne deriva che l’azione di impugnativa non riesce a essere efficace e all’impugnante insoddisfatto non resterebbe che avviare un nuovo giudizio.
Ovviamente, si possono fare due ipotesi:

  • la società non si appella contro la sentenza di primo grado, ma si verifica una delle situazioni previste nei quattro casi precedenti. La sentenza, decorsi i termini per l’appello, diventa “cosa giudicata”, con la conseguenza che una nuova delibera assembleare non deve sopravvenire “senza indugio”, ma decorsi i tempi per il passaggio in giudicato;
  • la società si appella ed eventualmente prosegue fino alla Corte di Cassazione, possibile perché si tratta di questione di legittimità. Ma, a parte lo spostamento dei termini in attesa dell’esaurimento dei giudizi, resta pur sempre intatta la sovranità assembleare e quindi la possibilità che si verifichi una delle quattro situazioni sopra ipotizzate.

 
4 – Funzione degli organi di controllo
Si supponga che il revisore contabile-legale, quando esiste separatamente dal collegio sindacale, confermi il giudizio di correttezza del bilancio impugnato in contrasto con il dettato della sentenza, emanata talvolta senza previo esame di un CTU .Ma resta ancora l’intervento del collegio sindacale, che deve fare una propria nuova relazione con la proposta prevista dall’art. 2429, comma 2, cod. civ. Però anche il Collegio sindacale è sovrano nell’apprezzamento dei fatti contestati e potrebbe anche formulare una proposta di non accoglimento delle rettifiche da parte dell’assemblea riconvocata. Il Collegio sindacale potrebbe motivare la propria proposta negativa con la tutela dell’integrità del patrimonio netto. Si pensi al caso, non infrequente, di una sentenza di Cassazione emanata a distanza di anni dall’esercizio il cui bilancio è da rettificare, impugnato con la pretesa da parte del socio dissenziente di ricevere dividendi. Se la voce di bilancio contestata fosse, per esempio, un diverso criterio di valorizzazione dei magazzini, una correzione dopo anni potrebbe recare danno alla società e minare l’obbligo di integrità del patrimonio netto e il rispetto del principio di prudenza, a parte la considerazione che ormai il dinamismo della gestione può aver assorbito le criticate valutazioni. Si noti che il principio di continuità dei bilanci non è un assoluto, a parte la considerazione che la continuità stessa, che è un fenomeno che non si sovrappone ai bilanci ma è intrinseco a essi, può assorbire eventuali divergenze. Il minor valore assegnato a voci di magazzino per l’esercizio x potrebbe aver generato maggiori valori di ricavi nell’esercizio o negli esercizi successivi nel momento di cessione delle merci con effetti di recupero o compensazione sugli utili di questi esercizi. Imporre una correzione potrebbe comportare una duplicazione di risultati economici con effetti sul patrimonio netto, al cui controllo di integrità il Collegio sindacale è istituzionalmente preposto. Non vale considerare il principio di continuità dei bilanci di esercizio, perché la sentenza di correzione potrebbe intervenire a distanza di anni a effetti assorbiti o esauriti, come già detto.
 
5 – Conclusioni
L’analisi ha posto in evidenza alcuni principi fondamentali che si ritengono inderogabili:

  1. il principio di sovranità dell’assemblea;
  2. la natura di atto a formazioni successive del bilancio, che esaurisce il proprio iter con la deliberazione da parte dell’assemblea;
  3. i limiti del giudicato che non possono concludersi con l’inesistenza nel nostro ordinamento giuridico di un’approvazione ex officio, salvi casi particolari, come, per esempio, la liquidazione di una quota a un socio recedente, in cui si deve comunque rilevare che il giudice non approva un bilancio sostitutivo, ma apprezza una diversa misura del patrimonio netto e quindi come strumentale ai fini della corretta determinazione del valore della quota, non esistendo una approvazione giudiziale dei conti (si veda: Cass., 2 maggio 2007, n. 10139, in rivista “Le società” con commento di Fernando Platania);
  4. il principio maggioritario che è alla base del nostro sistema del diritto societario e, quindi, il rispetto delle scelte della maggioranza anche in tema di bilanci, che non implica la legittimità dell’inosservanza di norme di legge o di principi contabili, ma la libertà di apprezzamento in relazione al principio di prudenza;
  5. il principio di autonomia degli organi societari, che non può dar luogo a conflitto tra gli stessi e l’autorità giudiziaria, poiché, se esistono divergenze, non possono essere ricondotte all’istituto del “conflitto tra organi” del diritto amministrativo e di quello costituzionale. A meno che non si tratti di nullità ex art. 2379 cod. civ., l’annullabilità deve fare i conti con una serie di conseguenze, che dovrebbero disincentivare il ricorso all’impugnativa facile, come era di moda in tempi non molto lontani da parte dei cosiddetti “professionisti di assemblea” pratici di filibustering e pronti, dopo il ricorso introduttivo di impugnazione, a ritirare la causa previo compenso mascherato da parcelle di consulenza. Senza arrivare a tanto, certe minoranze, anche oggi e con le modificazioni apportate al diritto delle società dal D.Lgs. n. 6/2003 e successive modificazioni, dovrebbero usare prudenza nelle impugnazioni delle deliberazioni di approvazioni dei bilanci, non tanto sui principi legali, ma sulle conseguenze pratiche finali.

Pietro Bonazza – dottore commercialista
Giulia Bonazza – dottore commercialista