La rinunzia alla carica del sindaco

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Questo articolo è reprint dello stesso pubblicato il 12.10.2017 sulla rivista “Sistema società”.

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La rinunzia del sindaco all’incarico, per la sua problematicità – derivata anche da una normativa sul tema specifico, che rende difficile stabilire se sia applicabile il principio lex minus dixit quam voluit o il suo opposto lex tam dixit quam voluit –  ha consentito una pluralità di interpretazioni da parte della dottrina e della giurisprudenza, che si possono così riassumere:

  1. la prorogatio non si applica in alcun caso;
  2. la prorogatio si applica solo quando è intervenuta la scadenza naturale del termine di carica e l’assemblea non abbia provveduto alla nuova nomina;
  3. la prorogatio è sempre applicabile sic et simpliciter;
  4. la prorogatio è applicabile quando, in caso contrario, l’interesse della società sarebbe compromesso.

I sostenitori della soluzione a) fondano la inapplicabilità sulla constatazione che la legge non ha esteso ai sindaci la prorogatio invece prevista esplicitamente per agli amministratori dall’art. 2386, ult. comma, cod. civ.), così escludendo l’interpretazione analogica, che sarebbe una indebita estensione della norma valida solo per l’organo di gestione, in rigida ma fondata applicazione del principio lex tam dixit quam voluit; ciò perché, diversamente dalla funzione degli amministratori, che deve essere continua, quella dei sindaci è naturalmente discontinua. Né varrebbero richiami all’art. 12 delle Preleggi, perché non si tratta di un problema di interpretazione, ma di mera constatazione che non esiste la norma e con una interpretazione analogica si finirebbe per creare ciò che il legislatore ha implicitamente negato. Questa posizione è affermata dalla giurisprudenza ed è in concreto prevalente (Fondazione Nazionale Commercialisti 1.12.2014; Trib. Milano 2.8.2010; App. Bologna 19.7.2007).

I sostenitori della tesi b) sono in pratica allineati sulla tesi a), salvo distinguere, come eccezione, il caso di rinunzia anticipata rispetto alla scadenza naturale del termine dell’incarico dal caso di attesa di una delibera assembleare successiva alla scadenza naturale del termine della carica. La tesi è sostenuta da Trib. Bari 2.2.2013. Inoltre, Corte Cassazione 4.5.2012 ammette l’immediatezza della prorogatio, ma ne subordina l’operatività a decorrere dalla comunicazione al sindaco supplente.

I sostenitori della tesi c) si affidano alla semplice applicazione del brocardo lex minus dixit quam voluit, riempiendo un evidente vuoto legislativo con ricorso all’art. 12 delle Preleggi, dimenticando con superficialità la differenza tra inesistenza e interpretazione e magari pensando, implicitamente, a un principio generale dell’ordinamento, che non si saprebbe come ricavare. L’ordinamento non può essere inteso come un elastico!

I sostenitori della tesi d) invocano il prevalente interesse della società, senza saper stabilire in via generale quale sia e quando si rinvenga questo interesse, ma dimenticando che anche il sindaco dimissionario può avere un suo interesse, che, peraltro, potrebbe coincidere con l’interesse della società, quando si tratti di evitare posizioni di insanabile contrasto. I sostenitori si affidano anche all’ipotesi che si possa verificare il caso della impossibilità a ricostituire la pluralità dei sindaci, quando, essendosi dimessi tutti quelli in carica, sia impossibile ricostituire il numero statutario con i supplenti.

Non si deve dimenticare un principio fondamentale del diritto: la sua natura deduttiva. Il risalire dal caso, come avviene con ricorso a esempi, alla norma inesistente e, quindi, in via induttiva, è sconvolgimento di un percorso fondamentale del diritto positivo. I casi derivano dalla norma e non viceversa. Diversamente opinando, tutto diventa possibile e giustificabile, fino all’abuso del diritto e all’abuso dell’abuso, come avviene, purtroppo, in diritto tributario, dove vige la statolatria dei pubblici poteri, che si avvalgono, senza ritegno, della giustificazione quia sum leo.

 

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La pluralità di tesi sul tema non pare trovi giustificazione e l’unica posizione possibile, nel caso di rinunzia volontaria è quella di inesistenza di prorogatio. Basta analizzare l’art. 2400 cod. civ. che recita: «…Essi [i sindaci] restano in carica per tre esercizi, e scadono alla data dell’assemblea convocata per l’approvazione del bilancio relativo al terzo esercizio della carica. La cessazione dei sindaci per scadenza del termine ha effetto dal momento in cui il collegio è stato ricostituito». È fuor di dubbio che il legislatore ha previsto la permanenza in carica oltre la data di calendario solo nel caso di scadenza naturale del termine, cioè in assenza di rinuncia espressa dal sindaco. La norma fa distinzione tra scadenza, che coincide e si consuma con l’approvazione del bilancio del terzo esercizio, e la delibera di ricostituzione dell’organo. Ora, si deve osservare che il riferimento normativo è esclusivamente al caso di scadenza del termine, che essendo un fatto naturale e di calendario, implica l’inesistenza di una manifestazione di rinuncia volontaria. Inoltre, dal punto di vista logico-grammaticale, si ricostituisce ciò non c’è più.

Da qui il dubbio di quali compiti sostanziali possa ritenersi investito il sindaco nel periodo che corre tra la scadenza, avvenuta, e la ricostituzione non ancora deliberata. Si osserva che l’istituto della prorogatio non è definito esplicitamente dal codice civile, ma è facilmente deducibile dall’art. 2386 cod. civ. dettato per gli amministratori, che nell’ultimo comma recita: «Se vengono a cessare l’amministratore unico o tutti gli amministratori, l’assemblea per la nomina dell’amministratore o dell’intero consiglio deve essere convocata d’urgenza dal collegio sindacale, il quale può compiere nel frattempo gli atti di ordinaria amministrazione».

Si osserva che:

– “cessare” è verbo di significato generale, cioè “per qualsiasi motivo”;

– in assenza di amministratori, il collegio sindacale superstite deve provvedere con urgenza, cioè “subito”;

– il collegio sindacale può, non “deve”, anche perché potrebbe non essere in grado di compiere atti di gestione.

Quindi, nell’intervallo, ammesso che si tratti di una specie di “prorogatio”, il collegio sindacale ha funzioni limitatissime, con esclusione anche di quelle che gli potrebbero essere istituzionalmente proprie in piena vigenza della normale carica. Oltre non si può ipotizzare, perché il legislatore ha previsto esplicitamente un’attività diretta alla ricostituzione dell’organo di gestione e non altro. Il “può” è consequenziale alla consapevolezza che per ordinaria amministrazione si intende l’attività volta al conseguimento dell’oggetto sociale, che, in pratica, è tutta l’attività d’impresa, come sostenuto dalla Cassazione in sentenze: 6.8.1977, n. 3600; 18.6.1987, n. 5353; 12.3.1984, n. 2430 e successive. Allora, il “può” deve essere inteso come una valutazione lasciata alla sensibilità e alla professionalità del sindaco. Ciò che è certo è che il legislatore non ha voluto, nemmeno nei casi limite, la promiscuità delle funzioni di amministrazione e di controllo. Si potrebbe anche aggiungere che, in caso che l’assemblea convocata dall’organo di controllo non deliberi a sua volta, si entrerebbe nella patologia con evidente caduta nell’art. 2484, n. 3, cod. civ. (Impossibilità di funzionamento o per la continua inattività dell’assemblea) e conseguente attivazione della fase di liquidazione.

Se si considera che l’unico caso di prolungamento della carica è quello sopra esaminato, resta conclusivamente affermato anche a contrariis, che nel caso di rinunzia prima del termine naturale, non può esservi prorogatio e nemmeno nel caso di dimissioni pronunziate tra la data di convocazione e la data di riunione assembleare. Conseguentemente, gli amministratori devono provvedere immediatamente a una nuova nomina, a meno di affrontare i lavori assembleari di approvazione del bilancio e rinnovo delle cariche in assenza di sindaci, qualora siano tutti dimissionari e non sostituiti dai supplenti, che potrebbero essersi a loro volta dimessi o in numero non sufficiente a integrare l’organo di controllo.

 

Pietro Bonazza – dottore commercialista

Giulia Bonazza – dottore commercialista