Economia alla deriva tra moltiplicatori fiscali e avanzo primario: diagnosi e terapie

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(una versione ridotta di questo articolo è stata pubblicata nel quotidiano “Italia Oggi” del 16 aprile 2013, pag. 11 con titolo “Austerità nella spesa pubblica senza aumentare le tasse”)

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Per cambiare le cose nell’economia italiana di oggi sarebbe necessaria una politica affidata a uomini responsabili. Ma, dove trovarli? A Roma? C’è da essere scettici, se siamo ancora fermi a duemila anni fa. Ce lo dice il grande poeta latino Fedro (15 a.C.-50 d.C.), che scrive in una sua famosa favola: «C’è a Roma una genia di faccendieri sempre in corsa, agitata, occupatissima quand’è festa, che ansima per nulla, che si dà un gran d’affare e non fa niente; a sé molesta e agli altri insopportabile».

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Anche l’economia ha il suo gergo da iniziati, perché è importante non farsi capire dal popolo che vota con le bende sugli occhi e il portafoglio tremulo. Da qualche tempo si sente parlare di “moltiplicatori fiscali”, locuzione abbinata alla parola austerità”, che sarebbe un ossimoro inconsapevole. Bisognerebbe parlare di demoltiplicatori fiscali, cioè di politiche, anche graduate, tutte dirette verso il fine di raddrizzare il rapporto Debito pubblico/PIL, che per molti paesi, Stati Uniti compresi, ha superato il livello di guardia e, allora, ecco la grande parola magica entrare nel gergo: “austerità”.

Innanzi tutto, bisogna chiarire la catena cause-effetti. La premessa  è che lo stato non produce ricchezza, ma la distrugge e, quando va bene e in condizioni di neutralità, la distribuisce, produce effetti positivi solo se la toglie alle componenti sociali inattive per devolverla a quelle attive. Allora – e questo vale soprattutto in periodi di recessione in cui la politica fiscale deve essere anticiclica – l’austerità deve essere dello stato e non delle parti produttive del paese, cioè austerità statale nella spesa senza aumentare la pressione fiscale, se si vuol evitare di deprimere ancor più il PIL e aggravare la recessione; non solo: la perdita di produzione fa diminuire anche le entrate fiscali e la situazione pubblica e privata peggiora costantemente per un processo di avvitamento perverso, facendo aumentare il debito pubblico, perché i tagli alla spesa risultano insufficienti. Come a dire che lo stato sta producendo povertà e disoccupazione.  L’eccesso di debito pubblico ha un costo: maggiori interessi. Ora, è noto che ogni tasso d’interesse contiene una componente di rischio, tanto maggiore quando cresce il rischio paese. Cioè lo stato, per allettare i risparmiatori, deve corrispondere tassi sempre più elevati e questo lo chiamano spread. Come ridurlo? Riducendo il debito? Come ridurre questo? Aumentando il denominatore del rapporto Debito/Pil. Diversamente il processo si avvita su se stesso e il moltiplicatore fiscale  diventa un demoltiplicatore del Pil. È quanto è accaduto e sta accadendo con una politica economica nella mani di un governo pasticcione ed esterodipendente. Il governo ha ignorato completamente i pur prevedibili effetti di una dissennata politica ciclica, che ha sbagliato tutte le terapie. Infatti, è noto da analisi internazionali che l’incremento dei moltiplicatori fiscali di una unità, produce perdita di PIL maggiore di uno. In recessione la politica economica deve essere anticlica.

Gli ultimi dati sono: una pressione fiscale al 52% e un debito pubblico  di 2.022 miliardi di euro (130% del Pil), per non parlare del tasso di disoccupazione (11% e il 37% quella giovanile). La prima grava sulle tasche attuali, il secondo sulla gobba dei nostri figli. L’effetto finale è il calo demografico: i figli si fanno perché vivano da uomini liberi e non da schiavi del debito pubblico. Pare lecito chiedersi se la squadra scelta dal sacro Colle non sia di dilettanti allo sbaraglio. Altro che accademie!

Si è ricordato prima  che, se il debito pubblico straripante è il problema principale secondo le valutazioni della UE esasperato dai sostenitori di austerità a oltranza, uno dei modi per il rientro in limiti sostenibili è l’incremento del PIL al denominatore. Da qui la ineludibile proposta di come ridurre il rapporto Debito/Pil quando si è in recessione e il Pil langue o addirittura decresce come è il caso Italia in questi tempi per il 2013: -1,3%). Qui ritorna di proposito l’austerità dello Stato e cioè l’ineludibile necessità di realizzare un avanzo primario nel suo bilancio. Ciò comporta che la differenza tra entrate correnti e spese correnti debba essere positiva. Però, se non si vuol peggiorare le cose con un aumento della pressione fiscale (entrate) che strozzerebbe ancor più i produttori e, quindi, il Pil, bisogna ridurre le spese (uscite). Questa è l’unica strada percorribile per ottenere un  qualche risultato.

Lo ha affermato chiaramente la Corte dei Conti per voce del suo presidente nell’intervista rilasciata il 9 aprile 2013 al GWH di Tokyo.

Quindi, non ci sono alternative: il risanamento può essere realizzato da una combinazione di provvedimenti di politica economica, ma il principale è la realizzazione di un avanzo primario nel bilancio pubblico che implichi riduzione di spese. Bisognerebbe però avere una classe politica responsabile che l’Italia non ha. Senza farina non si può fare il pane!

Invece, continuiamo a farci impartire lezioni dai tedeschi, ciò che ci suggerisce questo apologo su

“Vizi italici e virtù germaniche: uno spread”.

In genere, a meno che non sia uno schianto di ragazza da far svitare le pupille, il che, purtroppo, accade di rado, il primo(a) della classe è un tipo indigesto, antipatico, occhialuto e brufoloso, quindi odioso e petulante, che ha l’improntitudine di ricordare al prof che sta dimenticando di assegnare il compito a casa. Ma diventerebbe ancor più insopportabile se una norma scolastica imponesse di assegnare ai poveri mediocri, voti rapportati al voto del primo: una specie di spread. Comunque sia, simpatia o antipatia non cambiano la realtà: il primo resta primo e gli altri si mettano in fila per la fustigazione del voto.

Questo immagino quando penso alla Germania e a quel non-schianto che è la Cancelliera, sognando un’irreale Italia di primi della classe e di sì-schianto indigene, che per mantenere una sobria linea mangiano filetto ogni giorno, lasciando ai tedeschi radicchio appassito, perché scoprano le loro povertà e smettano di truccare i conti propri e quelli degli altri.

La verità è che in Europa nessun paese è senza colpe!.