Se Cesare non dà, dov’è il danno? E se non c’è danno, dov’è il crimine? Probabilmente questo è solo un innocuo gioco linguistico, come direbbe un filosofo del linguaggio. Mi spiego. La punta di diamante dei PM milanesi di Tangentopoli, stando a un quotidiano economico, avrebbe detto che buona parte del debito pubblico dagli anni ’80 sarebbe dipesa dal gonfiamento dei prezzi delle opere pubbliche, che avrebbero incoroporato anche le tangenti poi ristornate dagli appaltatori alle parti politiche o burocratiche. Il giudizio è riportato come estratto di un più ampio discorso, per il resto lasciato in ombra, con il rischio che la parte riportata possa indurre in errori di interpretazione. Tuttavia, poiché la frase ha una sua logica, la si può prendere come un pensiero compiuto con scarso rischio di equivoco. Tirato in moneta, il ragionamento è questo: un’opera pubblica dovrebbe costare 80, ma viene fatta a 100 perché 20 debbono andare al socio occulto, che è la parte che ha governato l’assegnazione dell’opera. Per il PM opinionista il business finisce lì e si risolverebbe in un danno per lo Stato, che ha pagato il sovrapprezzo di 20. Ma, a meno di ingiustificabili omissioni del giornale, il PM non avrebbe considerato un paradosso che completa la realtà, iniziata con il ragionamento riportato. L’integrazione potrebbe essere la seguente: dal 1980 il debito pubblico è aumentato dai 451 mila miliardi del 1984 agli oltre 2,5 milioni di miliardi attuali; quindi lo Stato ha sì pagato le opere e il tot in più del dovuto, ma per farlo si è indebitato in BOT e CCT che non ha mai rimborsato, posto che il debito pubblico ha continuato a crescere. È lo stesso PM che afferma che le opere a prezzo “inquinato” sono state finanziate a debito e non con aumento della pressione fiscale. Ergo non sono state caricate sulle spalle contribuenti, ma si potrà dire che ciò accadrà, se accadrà, quando il debito pubblico incomincerà a scendere. Ma come scende un debito pubblico? Con gettito fiscale o con riduzione di spese o con inflazione. La prima è la tassa sui ceti medi, la seconda causa è un impoverimento delle infrastrutture del Paese, la terza è la tassa su poveri e indifesi. Se ciò non è ancora avvenuto – e le cifre parlano chiaro – dov’è il danno attuale, perché il danno deve essere concreto e non potenziale o futuro, come avviene per i “reati di pericolo”? E se non c’è danno… Però, che gran diavoleria concettuale sono i paradossi in economia!