Nella biblica Genesi si legge che Caino, primo fratricida della storia, colpevole di uno dei più efferati delitti di sangue, fu maledetto da Dio. Il racconto, attribuito a Mosè, è probabilmente anteriore alla formulazione del Decalogo, di cui anticipa il V Comandamento e da cui si possono derivare due principi giuridici fondamentali. Innanzi tutto, è interessante il paragone con la condanna di Adamo, colpevole di aver inteso di parificarsi al Creatore, non accontentandosi della “somiglianza”, e, quindi, di aver consumato il peccato di orgoglio direttamente e personalmente verso Dio. Caino, invece, pecca contro un altro uomo, con l’aggravante del vincolo di sangue, e inaugura la “stirpe di Caino”. Dopo la descrizione del crimine, il testo recita:

«Allora il Signore disse a Caino:«Dov’è Abele, tuo fratello?». Egli rispose:«. Non lo so. Sono forse il guardiano di mio fratello?» Riprese: «Che hai fatto? La voce del sangue di tuo fratello grida a me dal suolo! Ora sii maledetto lungi da quel suolo che per opera della tua mano ha bevuto il sangue di tuo fratello. Quando lavorerai il suolo non ti darà più i suoi prodotti: ramingo e fuggiasco sarai sulla terra». Disse Caino al Signore «Troppo grande è la mia colpa per ottenere perdono? Ecco tu mi scacci oggi da questo suolo e io mi dovrò nascondere lontano da te; io sarò ramingo e fuggiasco sulla terra e chiunque mi incontrerà mi potrà uccidere». Ma il Signore gli disse: «Però chiunque ucciderà Caino subirà la vendetta sette volte».

Dal racconto emergono i due citati principi giuridici:

a) la colpa di Adamo, essendo contro Dio ricade su tutte le generazioni successive ed è riscattabile solo con un intervento divino (battesimo e redenzione), mentre l’omicidio di Caino, riguardando rapporti umani, implica l’esistenza di un contesto sociale, quindi è colpa di un uomo verso un altro uomo e infrange l’ordine collettivo, ma in entrambi i casi il giudice finale è sempre Dio, quasi in veste di supremo giudice di Cassazione, se così è possibile dire. Dio, prima lancia contro Caino un anatema («sii maledetto»), poi considera gli effetti della condanna;

b) Caino, ormai consapevole della irredimibilità della colpa, pone una domanda: «Troppo grande è la mia colpa per ottenere perdono?». La risposta se la dà Caino stesso ed è in senso negativo, perché conclude «chiunque mi incontrerà mi potrà uccidere». Qui si capisce molto chiaramente che Caino non è solo, ma vive in un contesto sociale, che applica la legge del taglione: “tu hai ucciso, quindi meriti di essere a tua volta ucciso”, cioè l’anatema di Dio diventa sentenza per gli altri uomini, al cui contesto sociale Caino appartiene. A questo punto interviene la giustizia di Dio: «chiunque ucciderà Caino subirà la vendetta sette volte», ove il “sette volte” è rafforzativo del divieto di uccidere Caino (perché chi lo facesse non potrebbe morire che una sola volta!), che spezza il pericolo di una catena di omicidi. I propugnatori dell’abolizione della pena di morte possono trovare qui un fondamento non certo trascurabile della loro azione. Ma, che nel versetto della Bibbia ci sia o no il rifiuto della pena di morte, Caino non resta senza pena, perché l’anatema conclude: «Quando lavorerai il suolo non ti darà più i suoi prodotti: ramingo e fuggiasco sarai sulla terra». Ramingo e fuggiasco è una condizione che può diventare insopportabile (Socrate, incolpevole, preferì la morte all’esilio) e comunque penosa (Dante Alighieri, anch’egli incolpevole, nel Canto XVII del Paradiso: «.Tu proverai sì come sa di sale/ lo pane altrui, e come è duro calle/  lo scendere e ‘l salir per le altrui scale»).

Ma dopo Adamo e Caino, si può fare un richiamo al destino di Giuda Iscariota, traditore di Cristo, cioè Dio, per trenta misere monete d’argento, non riuscendo a rendere ai sacerdoti il prezzo del tradimento, andò ad impiccarsi (cfr. Vangelo di Matteo). Perché? Non tanto per aver tradito Dio, perché, se così fosse, Caino aveva tradito prima di lui il comandamento dell’amore, su cui è basata la Creazione. Giuda è abbandonato al suo destino di suicida perché irredimibile: il suo gesto non è giustificabile non tanto perché il suicidio è un omicidio contro sé, ma per la mancanza di fede in Dio e della speranza di una redenzione della sua colpa, di una salvazione, fine annunciato del sacrificio del Maestro. Giuda era probabilmente uno dei più intelligenti tra i dodici e in lui è rivissuto il dramma di Adamo: capisce di aver offeso Dio, ma il suo orgoglio lo porta a disperare e così si pone in diretto contrasto con la Redenzione, che è misericordia, ben oltre la giustizia umana.

Sul tema del primo fratricidio della storia merita attenzione la conclusione del dramma “Cain” di George Gordon Byron, che, pur in un’ottica metafisico-romantica, riflette lo spirito del racconto biblico.