Il 1° settembre sembra ormai lontano, perché la manovra del governo per risanare il debito pubblico si è conclusa in termini ben diversi, salvo che nella batosta finale, da quelli ventilati a fine agosto. Sembra, anche se non lo è, perché la difesa del Piave contro ogni aumento dell’IVA del Ministro Tremonti, di cui non sono affatto un tifoso su altri punti, è stata scardinata dall’aumento dal 20 al 21% approvato dal Parlamento, forse in difesa dei benefici della casta politica. Gli effetti si sono già tradotti in speculazioni sui prezzi e un aumento del tasso di inflazione domestico.

Non mi stupisco, perché avevo già previsto con quasi un mese di anticipo il fenomeno, peraltro scontato e non certo da barattare per una profezia, ancorché facile.

Contro l’abitudine di non pubblicare sul “Dialogo” articoli di politica economica pubblicati sul quotidiano “Italia Oggi”, ripropongo qui, senza modifiche, per i lettori a cui sia sfuggita la lettura sul benemerito quotidiano milanese

 Articolo pubblicato in “Italia Oggi”, 1 settembre 2011, pag. 5, con titolo

“Quel vaso di coccio che galleggia senza però approdare a riva”

 La manovra del governo è un vaso di coccio costretto a galleggiare in mezzo ad altri di ferro e tra: stralci, rinvii, correzioni, aggiustamenti, ricatti anche dentro la maggioranza, minacce di voto di fiducia, non si vede come riuscirà a raggiungere la riva. L’unica certezza è nella casta, che, nonostante le innegabili necessità di tagli, si salverà. Intanto che i giornali di oggi scrivono le classifiche di chi ha vinto e chi ha perso e tra questi il ministro dell’economia, dico di non essere un tifoso del Tremonti, che sarà, nonostante le sue impuntature, un tributarista di valore, però con qualche dubbio se sta impassibile davanti a più di 400 violazioni dello Statuto del Contribuente; comunque non è certo un economista e non ha dimostrato di conoscere a fondo la manovra, che, probabilmente, si è fatto confezionare, almeno in parte, da altri. La sua fermezza nel difendere il non aumento dell’aliquota IVA, merita, però, un tentativo di seria interpretazione.

La teoria della distinzione tra imposte dirette e indirette, tra cui l’IVA, è ben chiara in qualsiasi manuale elementare di scienza delle finanze e mette in evidenza le principali caratteristiche di quest’ultimo tributo:

a)      la sua generalità, perché salvo discriminazioni tra beni di lusso e non, da penalizzare e altri da classificare normali de residuo, colpisce tutti e prescinde dalla capacità contributiva personale, almeno come è intesa nell’elastico art. 53 della Costituzione;

b)      si trasla immediatamente sui prezzi al consumo;

c)       ma l’incremento dei prezzi o non frena la domanda di beni e, allora, la ripercussione sul tasso di inflazione è immediata (nella Ue è già al 2,7%, maggiore in Italia) oppure la domanda diminuisce e allora si riducono la produzione e il PIL, facendo levitare anche il rapporto tra Pil e debito pubblico, cioè il contrario dello scopo della manovra. Sarebbe anche autolesionistico ridurre il debito pubblico reale con l’inflazione, perché quell’effetto keynesiano si accompagnerebbe a un aumento degli interessi e questo spiega anche il tifo di Tremonti per gli Eurobond;

d)      la riduzione della produzione si trasmette al tasso di disoccupazione, con perdita di posti di lavoro. Il tasso di crescita reale nella Ue è stato rivisto al ribasso e si prevede meno dell’1%, se tutto andrà bene: lo 0,8%, ma in Italia, già fanalino di coda, potrebbe essere negativo. Si ricordi la legge di Okun secondo cui a un calo del 2-3 per cento del Pil segue un incremento dell’1% del tasso di disoccupazione. Perciò: è il Pil che bisogna far crescere a ogni costo, non la pressione fiscale;

e)      l’aumento  dell’Iva sarebbe un incentivo all’evasione, che, già nella attuale notevole dimensione è difficile da estirpare, anzi da controllare, nonostante le illusioni di precisione delle analisi, più metodologiche e astratte che reali, dell’Università di Pavia.

Probabilmente Tremonti teme gli effetti di un ritocco dell’Iva, perché in economia e ancor più in politica economica le conseguenze inintenzionali sono il risvolto, spesso imprevedibile e incontrollabile, di scelte intenzionali.

Fa bene il ministro a irrigidirsi e a non ascoltare le lacrime interessate di casta e sindacati, abbarbicati all’esistente e interessati a un conservatorismo irresponsabile.