La Corte dei Conti insiste nel condannare gli impiegati infedeli, corrotti, concussi, distrattori eccetera, “anche” per il danno recato all’immagine della pubblica amministrazione. Niente da eccepire! Anzi: applausi al giudice contabile, anche se viene il sospetto che il pur apprezzabile tentativo di ricondurre tale fattispecie all’art. 2043 del codice civile sia più una speranza di recuperare il buon nome dell’amministrazione attraverso la sentenza in sé e per sé, che non per gli effetti di dissuasione sui reati. Lo scetticismo è alimentato da due constatazioni: · in Italia è difficile condannare un lavoratore in riferimento a norme specifiche, possiamo immaginare il risultato quando bisogna ricondurre una fattispecie nell’ambito di una norma generale qual è l’art. 2043 del cod. civ.; · si è letto recentemente che pochissimi pubblici dipendenti condannati (si noti: condannati non incolpati o inquisiti) per i reati prima citati sono stati rimossi dai loro uffici. E allora? si chiede l’uomo della strada. Risposta: ma la Corte dei Conti lo sa o non lo sa che il giudice di appello è sempre il Sindacato? Quindi non perdiamo tempo. Una condanna per lesione dell’immagine della pubblica amministrazione non è un pena accessoria; è il digestivo offerto dall’oste, che ha servito un piatto succulento e una adeguata fattura (non quella prevista dalla legge IVA, ma scritta su una lavagnetta, per risparmiare la carta).