Come il santo, l’eroe diventa tale solo dopo la morte. Ma l’eroe si distingue dall’uomo coraggioso, che non si sottrae al compimento del proprio dovere anche a costo della vita, ma, se possibile, si conserva, per il rispetto della propria orgogliosa coerenza e per la consapevolezza che ogni giorno rubato alla morte, può essere utile alla collettività in cui vive. Faccio alcuni esempi lontani e vicini.

Si leggono nell’Iliade di Omero le figure antitetiche di Ettore e Achille coerenti con il fato a cui secondo la religiosità antica non potevano sottrarsi. La morte li rese eroi alla memoria dei posteri. Ma, è giusto chiedersi: quali e quanti benefici avrebbero potuto riversare sugli altri, se fossero vissuti più a lungo? Ulisse invece tornò a casa, che ripulì ripristinando l’ordine. Divenne eroe dopo, quando violò i limiti delle Colonne d’Ercole, secondo l’impareggiabile sublime descrizione poetica di Dante nel XXVI canto dell’Inferno. Più vicino a noi, Giordano Bruno, che sembrava cercare la morte nelle sue peregrinazioni. Quanto idee avrebbe potuto aggiungerci, se fosse vissuto con maggior prudenza?

Pensiamo ai grandi comandanti di marina, che, sconfitti nell’ultima guerra mondiale, decisero di inabissarsi con la loro nave per un ultimo gesto eroico. E dove sta scritto che morire volontariamente con la propria nave sia una scelta che fa diventare eroi? Quanto avrebbero potuto dare ancora alla propria patria, se fossero sopravvissuti, perdenti o vincitori?

C’è differenza nel comportamento dell’uomo coraggioso.

Facciamo esempi contrapposti all’eroismo.

Dante, ingiustamente condannato a morte dalla infame Firenze del suo tempo, non accettò di andare a morire in Lung’Arno e così, seppur esule dolente e mendicante, ci riservò in dono la Divina Commedia. Pensiamo a Galileo, che, differentemente da Bruno, si dichiarò colpevole, pur convinto del contrario, e così ci donò riflessioni scientifiche successive alla sua assoluzione condizionata. Pensiamo a quei comandanti di nave che pur nel dolore della sconfitta, non considerarono un disonore la sopravvivenza personale, perché la morte di un singolo di valore è sempre una perdita collettiva. L’eroismo può essere anche dettato da una forma di egoismo, quando la morte è cercata. Bisogna invece che gli uomini di valore sopravvivano per non lasciare tutto lo spazio agli imboscati, agli speculatori, ai traditori, agli opportunisti, ai tartufi, ai pusillanimi, ecc…

    L’uomo comune ha bisogno di eroi e se non sono realmente esistiti se li fabbrica con il mito che personifica un ideale e questo consente agli uomini potenzialmente di valore di diventare “uomini coraggiosi”, senza bisogno di cadere nella pedissequa imitazione degli eroi.

L’eroe si presta alla retorica, l’uomo coraggioso al compimento del proprio dovere e alla conservazione per condurre fino in fondo l’azione a beneficio della collettività.

Spesso, ci vuole più coraggio per sopravvivere che per morire.