Nemmeno io sono eguale a me stesso nel tempo. E allora perché la cricca di Robespierre prima e tutta la sinistra dopo fino a oggi mi percuotono con la parola égalité? In francese, almeno è più secca, ma in italiano “uguaglianza” riesce a riempirti tutta la bocca e dopo averla pronunciata sei così stanco che finisci per accettarla. Ma vi rendete conto che, avverandola, io dovrei essere eguale a Berlusconi, Agnelli, De Benedetti, Bossi, Fini, D’Alema, Mastella e compagnia cantante? Dovrei essere eguale al Vescovo di Canterbury, all’Ayatollah di Teheran, al Dalai Lama? Dovrei essere eguale al presidente dell’Arcigay? Al barbone della Senna e a Carlo d’Inghilterra ? Ma, dico: vi rendete conto che per essere eguale agli altri non sarei più eguale al me stesso di oggi? La mia carne che si rivolta contro la mia carne? Io che dico al mio braccio destro: guarda che tu sei il braccio destro di Visco. Io braccio destro di Visco! Mi vedete, voi? Io, no! Ma non è finita: non mi basta non sentirmi eguale a nessun altro, il che è istintivo e, quindi, facile; non voglio che nemmeno altri si senta eguale a me. Motivi di sicurezza? Forse! Ma, ancor più, perché è l’unica condizione per avere qualcosa di diverso da dirci, un pretesto per accapigliarci, insultarci, parlare, dialogare e magari convincerci reciprocamente che la verità può essere una delle tre: la tua, la mia, la mediana e poi decidere quanta parte accettare. Chi ha capito come stanno le cose è Papa Wojtyla, il Quale, affermando più volte che ogni uomo è un fenomeno irripetibile, ha riconosciuto che almeno noi due non possiamo essere eguali, il che mi conforta… se non altro per Lui. Ci vuole sempre un cattolico vero, intimo al latino, per capire che “eguale” viene da aequus, come a dire: la “giusta disuguaglianza”.