Anacleto Verrecchia è uomo culturalmente proteiforme. Germanista e ambasciatore di cultura italiana a Vienna per parecchi anni, è anche un filosofo professionale, ma direi soprattutto “naturale”, scrittore di limpido e spumeggiante stile con espressioni spesso sulfuree, provocatorie, perentorie: “o è o non è”, senza mezze misure o infingimenti nei giudizi. Ma chi lo conosce sa che ha un grande cuore e ama il suo e nostro Paese di un amore viscerale, che transita attraverso la cultura classica, distribuita a piene mani come il Seminatore di Jean-François Millet. Mescola una prosa d’arte con una poesia libera da pedanti schemi aritmetici, come la musica che non ha bisogno di ricorrere alla rima. Mai erudito, sempre colto, perennemente giovane.
Un saggio di queste qualità ci è dato nel suo libro Rapsodia viennese, che l’editore Donzelli ha stampato con ammirevole eleganza, quasi omaggio grafico all’autore, che rivive nella città danubiana e dalle sponde del suo fiume emozioni che trasmette al lettore con intensità coinvolgente. Di libri, Verrecchia ne ha pubblicati tanti e la sua bibliografia è complessa, articolata ed estesa. Ma Rapsodia viennese ha la caratteristica di una ancor più intensa emozione.
Gli autori non si descrivono, si leggono e si metabolizzano. Solo così la cultura si diffonde come un virus benefico.
E, allora, lasciamo parlare Verrecchia, riproducendo la sua poesia, che chiude il capitolo Carnutum, e le ultime pagine dedicate al grande Danubio, il fiume che con le sue acque porta la cultura e la storia dell’Europa a stemperare il grigiore del Mar Nero.
Ringrazio l’editore Donzelli di Roma per l’autorizzazione alla riproduzione e segnalo in particolare la Collana “Saggi Donzelli” ricca di testi pregevoli di “Arti e lettere”, stampate in raffinata veste grafica, coerente con il valore delle opere e rispettosa della vista del lettore.

Di seguito un estratto poetico del saggio

Sulle tue sponde, padre Danubio,
Errano d’insanguinati guerrieri
L’ombre cupe, ma tu, crucciato Nume,
Sazio forse di battaglie prosegui
Indifferente e non t’arresti. Narra,
Tu che sai e che del mohdo vedesti
L’alba, narrami dell’uomo la storia
E le sventure. Trovaron la pace
Quelli ai quali tu serrasti il respiro
E poi sbattesti sulla riva? Triste
E il cimitero dei senza nome
E il corvo vi canta il miserere.
Spettrali crocefissi rugginenti
Par che respingano fin la preghiera.
Sol il gabbiano, che nel cielo cerchi –
Disegna c lieto ti corteggia, vince,
Danubio, la cupezza e la memoria
Del passato. Sulla colonna è scritto
Del filosofo imperatore il motto:
“G1i uomini son nati l’un per l’altro”.
Ma tu, grande fiume, scuoti la testa
E, additando il sangue in te versato,
Smentisci il saggio romano e rispondi:
“No, gli uomini son l’un contro l’altro”,
Avvolte nella nebbia discendono
La corrente le navi: i Nibelunghi
Ignari attende atroce destino.

Assetata di vendetta, Krimilde
Infernale appresta agli ospiti il rogo.
Rosseggia il cielo e l’arsura si spegne
Col sangue. Pieno d’orrore, tu padre
Danubio acceleri il corso e l’ira
Tutta sfoghi alle Porte di Ferro,
Dove ribolli paurosamente
E sembra che scardinare tu voglia
Il mondo. Allora dilaga, Padre,
Scavalca le dighe che ti strozzano
E sommergi il tutto. Veli il gabbiano
Sulle tue onde e risuoni nell’aria
La musica del Crepuscolo. Amen.