La storiografia dovrebbe essere inibita a chi non ha la capacità di lasciarvi fuori le proprie ideologie, perché dimostrerebbe, quanto meno, di non essere in grado di giudicare quelle degli altri. Possiamo non accettare la teoria di Benedetto Croce che la “storia è storia della libertà”, ma non potremmo negare che “la storia è storia delle ideologie”. Sono queste che, rimpiazzando idee deformate a uso e consumo dei protagonisti, fanno la storia. In questi giorni, di campagna elettorale ormai avviata, si è scatenata la questione delle deformazioni della storia sui libri di storia adottati da lorsignori insegnanti. È partito, lancia in resta, Storace governatore del Lazio, che, da quell’animale politico che è, non ha perso l’occasione per denunciare la faziosità dei libri di testo. Il fatto è noto da tempo e forse son disposti ad ammetterlo persino i meno conformisti della sinistra. Ma si è stigmatizzato il modo con cui lo Storace ha fatto ciò ha fatto, dopo aver detto ciò che ha detto. Sennonché gli animali politici, raffinati o grossolani che siano, hanno il “fiuto dell’ora”, cioè capiscono quando è il momento di impostare una certa azione. La sinistra che si è imbottita di intellettuali (trascuriamone la misura e lo spessore) è incapace, ormai, di fiutare l’aria. Togliatti e Degasperi, che erano animali politici, avrebbero capito, i loro nipotini, no: ascoltano gli intellettuali e i sindacalisti. Non parliamo poi dei consiglieri dei secondi, soprattutto quando riescono a diventare intelletualpremier. In questo bailamme di pareri, giudizi e anatemi, in cui si è inserito anche l’Osservatore romano, colpisce la tesi che togliere a un insegnate il diritto di adottare un testo anche balordo significherebbe negargli la “libertà di insegnamento”. Ora noi tutti sappiamo che la libertà è un concetto metafisico, che diventa reale se è somma di tante libertà. Mettiamoci pure la libertà di insegnamento, ma non escludiamo quella di “apprendimento”. La scuola ci costa migliaia di miliardi. Vogliamo almeno pretendere che i libri di storia siano agnostici? La libertà di insegnamento non è nell’adozione dei libri, ma nella interpretazione che ogni insegnante è libero di fare, se ne ha voglia e capacità. Si vede subito che si tratta di un falso problema. Gli insegnanti adottano i libri, con la scusa che sono sussidi, ma il risultato è che le famiglie spendono centinaia di migliaia di lire per carta straccia che i figli debbono portarsi a scuola ogni giorno (il peso medio del “tascapane” di uno studente di scuola media è pari allo zaino di un alpino in assetto di marcia), facendo la fortuna dei produttori di quelle sacche “a spalla”, che riducono gli studenti a gibbuti dromedari. Il sussidio diventa l’unico riferimento: studiare da pagina tale a tal’altra. Gli insegnanti hanno rimesso la loro libertà di insegnamento alle stupidaggini scritte da altri e l’hanno già rinunciata nel momento in cui temono il confronto della propria capacità di analisi e dimostrazione con il testo. Ricordo di aver consultato, anni fa, una storia della letteratura italiana adottata in un liceo classico di gesuiti. Sul margine di certe pagine il diligente allievo aveva annotato la diversa opinione dell’insegnante ignaziano. Si capiva che il gesuita si era sforzato di dimostrare il contrario di ciò che affermava l’autore. Così facendo, dava prova della sua capacità di analisi e si ottenevano due risultati di rispetto della libertà: · il docente aveva ottenuto l’affermazione della propria; · l’allievo aveva la possibilità di scegliere tra l’autore del testo e la tesi del docente. Questa è libertà, come somma di due libertà apparentemente contrarie, ma dialetticamente conciliate. Soprattutto la libertà è coraggio e vero sapere: due doti che i gesuiti hanno sempre praticato e che certi politici nostrani farebbero bene ad imitare.