La rivista Giurisprudenza commerciale, n. 32.5 del 2005, pagg. 630/I e segg., pubblica un ampio articolo di Elisabetta Loffredo con titolo Modifiche, piccole e non, in tema di responsabilità dei sindaci di s.p.a., in cui l’autrice svolge un’ampia disamina su funzioni e responsabilità dei sindaci dopo la riforma del diritto societario realizzata dal D.Lgs. 6/2003. L’articolo si segnala per lo sforzo di dimostrare un aggravamento delle responsabilità dei controllori, persino contro le affermazioni contrarie, che si leggono in proposito nella Relazione ministeriale; il che sembra quanto meno ardito. La Relazione afferma che «…l’ambito delle responsabilità risulta meglio definito e sostanzialmente ristretto…», ma la Loffredo sostiene che: «…solo in apparenza registra un alleggerimento della posizione dei sindaci ». Non è vietato essere più realisti del re… se piace al re! Sennonché, nella fattispecie non si tratta di un’affermazione resa in lavori parlamentari, che rappresentano l’iter in cui dialetticamente si perviene alla norma nella sua espressione definitiva e formale (art. 1 Disp. Att. cod. civ.), ma della Relazione di accompagnamento di un decreto legislativo, emanato dal governo in relazione a una legge delega: una specie di chiarimento del delegato, che spiega l’uso fatto della delega ed esprime quindi la ratio legis. Sembra, nel leggere uno dei commenti di molti giuristi in queste materie, che non esista alcuna esperienza pratica a sostegno delle loro asserzioni. I punti su cui non convengo con l’articolista divergente sono anche altri. Per esempio:

1. si legge a pag. 639/I che sembra: «…escludere che i sindaci tuttora possano sottrarsi al dovere di effettuare un controllo almeno a campione di rilevazioni, registrazione e rendicontazione. » Che vuol dire? Il controllo contabile o si fa o non si fa; quella del campione è solo una delle modalità con cui il sindaco ritiene di svolgere una funzione! Ma, se la funzione è stata affidata dal legislatore al controllore contabile, ha senso sostenere che il sindaco fa il controllore del controllore? Il legislatore ha separato le due funzioni per almeno due motivi: a) per garantire i pubblici poteri e l’interesse pubblico che il controllo contabile non venisse svolto a scapito della funzione di controllo della gestione (art. 2403 c.c.), posto che per il primo ha professionale competenza lo stesso sindaco, chiamato a svolgere il controllo sulla gestione; b) il controllo sulla gestione, diversamente da quello contabile, non è a posteriori, ma può e deve essere a priori o contestuale alle deliberazioni e alle azioni degli amministratori, su cui il legislatore ha preteso una funzione mirata e specialistica. (si vedano sul tema i miei articoli: Il controllo del Collegio sindacale sulla gestione e il rischio d’impresa, in rivista Diritto e pratica delle società, 2005, n. 7, e in questa rivista elettronica, 21.4.2005);

2. a pag. 644/I la Loffredo tenta una distinzione tra vigilanza e controllo. Ma su questo punto si rileva carenza logica e mancanza di pratica, perché non si tratta di due categorie, di due species; invece, la vigilanza è strumentale. Infatti, il sindaco deve esercitare un “controllo”, in relazione al quale svolge un complesso di attività, tra cui la “vigilanza”. Semmai si può sostenere che un controllo senza vigilanza è difficilmente pensabile e realizzabile. Se è così, ma per ammetterlo dovrei fare troppe concessioni, allora la vigilanza è impensabile senza connaturarsi al controllo, una sua intrinseca e inscindibile qualità. Ma, allora, a fortiori, non si può sostenere che trattisi di due categorie.

Chiudo qui questa nota critica, lasciando al lettore una disamina completa del testo dell’articolo, il cui valore è più nelle provocationes ad opponendum che non nella condivisibilità delle asserzioni coraggiosamente esposte dalla Loffredo anche contro corrente. Però, mi consento una battuta finale: non pontifici sed experto credite e Loffredo non è nemmeno pontifex.

Pietro Bonazza