I romani del V secolo a.C., quando non sapevano a che “santo (rectius: divinità) votarsi”, chiamavano Cincinnato e gli davano i poteri necessari. Raggiunto lo scopo, Cincinnato lasciava la carica sua sponte e tornava al lavoro dei campi, soddisfatto di aver servito la patria Roma con onestà e umiltà. Si può dire di lui: era un uomo!  Non certo quelli della Roma di oggi, che hanno eletto il loro portafoglio a patria personale. Essendo un senatore onesto sapeva anche conciliare patrizi e plebei.
A osservare un certo signore di questi giorni viene il dubbio che voglia reincarnare Cincinnato. No, caro signore, con tutto il rispetto, Cincinnato era di un’altra pasta: non si era lasciato nominare senatore da nessuno; mai avrebbe accettato attenzioni da cavallo Incitato di Caligola.
Il problema non è il governo, che è quel niente che sappiamo, perché privo di una base politica, ma la crisi della democrazia, che il governo rende palese.
La democrazia è in crisi perché essa, in quanto sistema politico, si basa su un presupposto fondamentale:
essa trova il suo criterio primario nel principio della maggioranza. Infatti, scegliendo un criterio diverso, dovrebbe affidarsi alla minoranza, che è quello che sta alla base di tutti gli altri sistemi politici (dittatura, oligarchia, aristocrazia, monarchia assoluta, ecc.). La democrazia si affida alla maggioranza, perché ritiene che la conta abbia significato in quanto riuscirebbe almeno a mediare in sé, applicando la legge dei grandi numeri, l’imbecillità dei peggiori dei suoi aderenti con l’eccellenza dei migliori e che, tutto sommato, sia l’espressione in chiave politica di quella legge statistica che si esprime nella curva di distribuzione delle frequenze favorevoli, per cui finirebbe per prevalere la media “buona”. Si tratta di un concetto di matematica probabilistica del tipo: dato per normale che l’intelligenza sia equamente distribuita tra una popolazione di 100 individui, è più probabile che vi siano più persone intelligenti in valore assoluto in una maggioranza di 60 che non in una minoranza di 40. Tutto ciò può avere un fondamento di realtà (non necessariamente di verità) e, quindi, di accettabilità, a condizione che la maggioranza o, meglio, la sua maggioranza (cioè la maggioranza all’interno della maggioranza) sia portatrice di valori migliori o della miglior interpretazione ed applicazione di valori basilari. Se vanno in crisi i valori, la maggioranza non ha più nulla da esprimere e la democrazia diventa conquista e gestione del potere fine a se stesso, spingendo il popolo degli elettori a scelte anarcoidi (diserzione dalla cabina elettorale). Ma perché va in crisi il sistema dei valori? Perché accade una confusione dei fini con i mezzi o, meglio, la confusione dei mezzi dentro i fini, cosicché, per fare un esempio, in Italia non è più questione di prima o seconda repubblica, di sistema proporzionale o bipolare. Non funzioneranno i secondi come non hanno funzionato i primi. Un tentativo di miglioramento potrebbe consistere nel riservare al potere di governo (cioè alla maggioranza che vince) solo la definizione, la difesa e la traduzione in norme dei fini preannunciati, e, quanto ai mezzi, quelli necessari per i soli interventi di sussidiarietà. Il torchio fiscale non schiaccia solo il contribuente, ma la stessa democrazia che ne faccia abuso.
Oggi non esiste più distinzione netta tra scienza e tecnica, anzi, si può mettere in dubbio che la prima possa esistere senza la seconda, che la esalta e la spinge continuamente. Ma la tecnica sta alla scienza come il mezzo sta al fine. è la scissione tra fini e mezzi la condizione per togliere rischio di errore a una maggioranza incapace, perché i fini sono di facile controllo anche da parte della minoranza. Invece, è con i mezzi che si realizzano le più incontrollabili fughe dal rapporto dialettico tra maggioranza e minoranza.
Assistiamo a ruberie di ogni genere da parte dei partiti e di loro politici; maggioranza e minoranza associate nel furto pianificato di risorse della collettività a scopi personali e ciò è possibile perché dopo aver proclamato i fini (programmi) nelle campagne elettorali, poi le rapine di pubblico denaro avvengono sui mezzi, sottratti a ogni controllo perché la cosiddetta casta è autoreferente, come lo è il dittatore che non ammette controlli sul suo operato. Il concetto “il fine giustifica i mezzi”, grossolanamente attribuito a Machiavelli, si è rovesciato nel peggiore: “i mezzi giustificano i fini” e questo accade quando la democrazia è moribonda e perde i propri controlli, perché i controllori o non esistono o si sono confusi nei controllati. Quindi, pensare di salvare la democrazia con belle parole sui fini, trasferendo tutto sul piano di un’etica metafisica, è un confondere le acque e rovesciare i termini del problema. È come se chiudessimo i carabinieri nelle caserme a fare le parole crociate invece di consentirgli di svolgere il proprio dovere sulle strade.
E se la causa è questa, pensiamo alla nostra democrazia cacciata dalla reggia, che è la sua casa, su un malfamato marciapiede.