San Paolo, Martin Lutero e Joseph Ratzinger: la vera via della salvezza

 Il punto fondamentale della teologia di Lutero è nella interpretazione della “Lettera ai Romani” di San Paolo, già problematica di per sé, ma anche  di Jehan Le Charlier GERSON, che aveva sostenuto, in chiave di diritto romano:

 

Definitio illa iustitiae, iustitia est perpetua et constans voluntas ius suum unicuique tribuens, competit  principaliter iustitiae divinae in ordine ad suas creaturas. Deus nempe solus est qui voluntate perpetua et constanti dat unicuique quod suum est, suum inquam non ex debito rigoris sed ex liberissima et dignantissima condescensione aut donatione Creatoris. Definizione di quella giustizia: giustizia è perpetua e costante volontà di dare a ciascuno secondo il suo diritto, riguarda principalmente la giustizia divina verso le sue creature. Veramente solo Dio è colui che con volontà perpetua e costante dà a ciascuno ciò che è suo, suo non per corso obbligato della vita ma per liberissima e di grande dignità concessione o donazione del Creatore
   
Quasi vero non satis sit, miseros peccatores et aeternaliter perditos peccato originali omni genere calamitatis oppressos esse per legem decalogi, nisi Deus per evangelium dolori adderet, et etiam per evangelium nobis iustitiam et iram suam intentaret. Come se non fosse abbastanza vero, saremmo per legge del decalogo miseri peccatori e perduti eternamente nel peccato originale, oppressi da ogni genere di calamità, se Dio non avesse aggiunto al dolore qualcosa tramite il sacrificio per quanto noi, nonostante il Suo sacrificio, avessimo rivolto la Sua giustizia su di noi e la Sua ira.
Non erit nec oritur in nobis iustitia Dei, nisi prius omnimo cadat iustitia et pereat iustitia nostra. Non ci sarà né sorgerà in noi la giustizia di Dio, se non cade e perisce prima di tutto la nostra giustizia.
Che richiama la “Lettera a Tito”, (3,5 e segg.) forse posteriore alla morte del presunto autore Paolo di Tarso:«5 non ex operibus iustitiae, quae fecimus nos, sed secundum suam misericordiam salvos nos fecit per lavacrum regenerationis et renovationis Spiritus Sancti,6 quem effudit super nos abunde per Iesum Christum salvatorem nostrum,
7 ut iustificati gratia ipsius heredes simus secundum spem vitae aeternae.
8 Fidelis sermo, et volo te de his confirmare, ut curent bonis operibus praeesse, qui crediderunt Deo. Haec sunt bona et utilia hominibus».
  «…5 egli ci ha salvati non in virtù di opere di giustizia da noi compiute, ma per sua misericordia mediante un lavacro di rigenerazione e di rinnovamento nello Spirito Santo,
6 effuso da lui su di noi abbondantemente per mezzo di Gesù Cristo, salvatore nostro,
7 perché giustificati dalla sua grazia diventassimo eredi, secondo la speranza, della vita eterna.
8 Questa parola è degna di fede e perciò voglio che tu insista in queste cose, perché coloro che credono in Dio si sforzino di essere i primi nelle opere buone. Ciò è bello e utile per gli uomini».
        
 

 

Il focus della teologia luterana si può così riassumere: le opere dell’uomo non contano nel disegno di salvezza di Dio, conta solo la fede dell’uomo nella grazia divina, che è mera gratuità e giustificazione. La tesi luterana e, quindi, del protestantesimo, svilisce non poco l’importanza delle azioni, che, invece, nella teologia cattolica assumono importanza di complementarità con la fede.

La teologia cattolica esprime, il vero umanesimo, rivalutando le azioni dell’uomo non per un comportamento istintuale, ma per la sua responsabilizzazione, che è anche il fondamento della umana giustizia, seppur limitata rispetto alla giustificazione divina.

Mi pare di poter constatare la fondatezza di questa considerazione in un brano del classico testo del teologo bavarese Joseph Ratzinger, papa Benedetto XVI, “Escatologia” (pag. 106):

«La via indicata dalla teologia della croce, ovvero dalla dottrina paolina della giustificazione, non significa quindi in alcun modo un’ideologia della passività. Infatti: il tendere alla verità, alla giustizia e all’amore è, quale processo del ricevere e del dare, la più intensa attività dell’uomo…».

A mio avviso, la Chiesa cattolica e ancor più quella protestante, sembrano trascurare, talvolta, che San Paolo era un appassionato predicatore itinerante più che un teologo e i suoi scritti rivelano questa sua funzione oltre alla sua natura umana tendente alla mistificazione del concetto, ben oltre il senso più semplice della predicazione di Cristo, di cui, tra l’altro, non fu discepolo diretto e testimone oculare, ma che conobbe tramite i racconti di altri discepoli e testimoni.

Ratzinger corregge Lutero, rivalutando l’uomo nel suo rapporto con Dio, fatto di fede e, anche, di azioni responsabili, ma il grande papa-teologo integra, per coerente interpretazione, anche l’apostolo Paolo, che, per primo si sacrificò nella tensione “alla verità, alla giustizia e all’amore” nel dinamismo (processo) del ricevere e del dare, che riecheggia il terzo pilastro del diritto romano, seppur in chiave esclusivamente umana, ma di alto valore morale, come deve avere lo ius: “suum cuique tribuere”, affermazione ripresa letteralmente da Gerson all’inizio del passo riportato. La tensione alla giustizia, cuore dello ius civilis romano, è la interpretazione-chiave del teologo Ratzinger, che, in un epoca di relativismo e di irrazionalismo, quale la nostra, si dimostra anche un pastor rationis, di una ragione non illuministica o neo-illuministica, ma canone morale e guida per la ricerca della verità e della libertà, come è chiaramente affermato nella lectio magistralis “Fede, ragione e università – Ricordi e riflessioni”, tenuta il 12 settembre 2006.