Pietro Bonazza

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Il bilancio dell’impresa: analisi e struttura residuale del capitale proprio investito

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(articolo pubblicato sulla rivista Banche & Banchieri” , 1986, n. 12)

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1) Premessa

Il dinamismo e le fluttuazioni dell’economia, particolarmente intensi negli ultimi tempi, hanno accentuato l’utilità di analisi dei bilanci aziendali, volte a rilevare rapporti causali tra scelte gestionali adottate in passato e risultati attuali od a proporre, in connessione con tali indagini, scelte razionalizzate per il futuro, come esige l’enfasi di una visione strategica della gestione peraltro opportuna, in un contesto economico sempre più vasto ed aggressivo, in cui l’impresa deve oggi muoversi con fini di sviluppo o di difesa dei segmenti raggiunti.

L’analista del bilancio non deve mai dimenticare che la materia trattata non è un fenomeno da laboratorio e che l’espressione quantitativa è solo il risultato di una serie di artifizi ed arbitri, che, mediante stime e congetture, consentono la determinazione di risultati parziali, attribuibili ai singoli esercizi, in cui si divide convenzionalmente la durata dell’impresa. L’affinamento delle tecniche, l’invito alla prudenza codificato dai legislatori, norme, anche minuziose, di comportamento professionale e deontologico, concorrono a rendere il meno impreciso possibile il contesto dei dati trattati dall’economia d’azienda, ma quel tanto di “arte”, che continua a caratterizzare l’opera dell’aziendalista, deve continuamente ricordare l’origine economica e non fisico-naturalistica del fenomeno considerato.

In un certo senso vi è analogia tra l’opera dello storico, che, analizzati i fatti passati nei loro rapporti con le cause generatrici, avanza previsioni per l’avvenire ed il lavoro dell’aziendalista, che, dall’analisi di bilancio, tenta di proporre accettabili extrapolazioni. Forse la differenza è solo nella dimensione dei contesti considerati, ma non certo nelle considerazioni epistemologiche e metodologiche dei due “mestieri”, diversi solo in apparenza.

Però, più grave è il rischio del secondo, proprio per l’abitudine a trattare una materia rivestita di valori quantitativi, che può condurre ad una dimenticanza dell’origine non fisico-matematica, dei dati e quindi ad un affidamento meccanicistico dei risultati, rischio che lo storico in genere non corre, per la minor evidenza formale dei propri dati.

Ricondurre i fatti alla loro origine non vuol però significare giudizio di inutilità delle tecniche, che tentano di dare veste quantitativa ai fenomeni aziendali, ma è solo prudente avvertimento dei limiti e della irrinunciabile necessità che i fenomeni trovino un vaglio critico, il cui metodo non può essere matematico, ma quello economico, cioè storico-sociale.

Come lo storico, che intenda proporre indicazioni del presente e proiezioni future, dopo l’analisi del materiale documentale, deve compiere un lavoro di sintesi dei rapporti casuali, per sceverare dalla massa dei dati quei fenomeni strutturali, che possono rimbalzare effetti nel presente e nel futuro, così l’aziendalista deve far seguire, all’analisi dei dati di bilancio, un’operazione di sintesi, che consenta interpretazioni anche semiologiche degli accadimenti rilevati.

L’analisi per indici fa parte di questa metodologia.

Il bilancio trova, quindi, nella espressione quantitativa dei dati la sua efficacia, ma anche il suo limite, perché trascura tutti i fenomeni non quantitativi o non quantificabili, alcuni dei quali possono però essere intuiti e quindi descritti partendo dall’analisi di particolari correlazioni fra valori, le quali, oltre ai significati tipici dei loro dati assoluti, possono offrire nuove possibilità interpretative se questi sono aggregati prima in classi e poi elaborati con procedimenti logico-formali.

I due momenti della aggregazione e della elaborazione possono costituire una sequenza algoritmica, adatta ad essere trattata da computer, perché il processo è programmabile, ciò che esalta il rischio di interpretazione meccanicistica, soprattutto in chi non sia dotato di adeguata cultura economica di derivazione storico-filosofica.

Già il bilancio è un processo di aggregazione elementare, la cui formazione per raggruppamenti, espressivi di significati economici, può fornire alcune possibilità di elaborazione, senza alterare o forzare lo scopo primario di determinazione del capitale e della sua variazione nell’unità di tempo.

Poiché i processi di aggregazione hanno strutture particolari definite dagli scopi che si vogliono raggiungere, è, comunque, consigliabile la loro autonoma formazione, indipendentemente dalla loro conformazione del bilancio, a cui deve essere riservata la funzione di semplice e lineare esposizione delle classi di valori, che determinano il risultato conseguito nell’unità di tempo, secondo una estensione ragionevolmente analitica, tale da consentire anche al lettore esterno gli approfondimenti conoscitivi ed interpretativi per apprezzamenti di rischi in vista dell’assunzione di eventuali rapporti con l’impresa.

Proprio in quest’ultimo caso l’interpretazione meccanicistica degli aggregati e dei fenomeni sottesi può essere rischiosa, perché il lettore esterno non dispone della estesa conoscenza dei fatti aziendali consentita invece ai gestori dell’impresa. Anzi l’uso acritico di blocchi di dati di imprese diverse, ritenute omogenee solo perché dello stesso settore merceologico, può creare illusioni di comparabilità e portare a giudizi positivi o negativi, spesso falsati ed utili più ai manipolatori dei dati, bisognosi di una giustificazione di utilità sociale della loro presenza professionale, che agli operatori, i quali affidano a quei dati la presunta razionalità di loro decisioni.

2) Situazione patrimoniale con evidenza del capitale investito

La premessa si è resa necessaria, almeno quale avvertimento di relatività di significato per la descrizione di un processo di massima sintesi, definibile: struttura residuale del capitale proprio investito.

Si ipotizza la situazione patrimoniale di un bilancio di esercizio, già condensata nei suoi gruppi di valori sintetici, costituenti rispettivamente:

a) il capitale di funzionamento o investito (“impieghi”), composto da:

– capitale circolante lordo

– capitale immobilizzato lordo, ma da intendere già rettificato dei relativi ammortamenti;

b) il capitale di credito (“fonti”), composto da:

– indebitamento a breve termine

– indebitamento a medio-lungo termine;

c) e, per differenza (ma anche “fonti”): i mezzi propri.

L’espressione in forma di conto può essere così proposta:

Situazione patrimoniale al tempo T,1

IMPIEGHI

FONTI

Capitale Circolante Lordo

CCL

Passività a breve

PB

Capitale Immobilizzato Lordo

CIL

Passività a medio-lungo

PML

_______

_______

Capitale Investito

CI

Capitale Raccolto

CR

La condizione fondamentale è la solita equivalenza CI=CR.

Compiuta questa aggregazione, la tecnica corrente suggerisce noti rapporti formati fra valori appartenenti allo stesso gruppo: fonti e impieghi, che consentono giudizi di adeguatezza rispetto a noti standard, ma anche rapporti fra valori di gruppi contrapposti, ritenuti collegabili con correlazioni particolari, come quelle fra passività a breve e capitale circolante lordo. Quest’ultimo rapporto è l’espressione formale del noto giudizio di congruità del capitale netto rispetto alla quota immobilizzata del capitale investito, che si ritiene soddisfacente nel caso di equivalenza.

Queste note sono stimolate proprio dalla critica di tale ultima ricorrente proposta di correlazione.

La dottrina pare d’accordo nel definire i mezzi propri come un valore residuale nel sistema dei valori e ciò sia per la postergazione rispetto ai creditori esterni imposta dal diritto, sia per l’impostazione dell’economia politica, che attribuisce al profitto una evidenza residuale, in connessione con la posizione pure residuale del capitale proprio rispetto al complesso dei valori aziendali.

Pertanto può risultare incoerente, sul piano logico, proporre una relazione diretta fra il capitale proprio ed una singola categoria di impieghi . Se la critica viene accettata, non è più sostenibile, in quanto contraddittorio, un rapporto fra i mezzi propri ed il capitale immobilizzato lordo, che risulterebbero termini del tutto eterogenei. Analoga contraddizione si può rilevare nella proposta di compensazione fra capitale circolante lordo e passività a breve termine, con l’intento di ottenere una definizione di capitale circolante netto, che, così, risulterebbe il complesso dei mezzi residui dell’azienda dopo il pagamento dei debiti, la cui scadenza è ritenuta confrontabile con i tempi di liquidabilità del capitale investito nel breve termine.

Pertanto la forzatura di tali rapporti è innegabile, data la generale correlazione fra tutti i valori e non fra particolari correnti, ma se si supera l’obiezione, si può sostenere che la correlazione particolare non è priva di significati economici e che la proposta di una definizione di capitale circolante netto, inteso come residuo dopo la sottrazione di passività a breve, può, in effetti, fornire utili informazioni circa gli equilibri finanziari attuali e giudizi su politiche di intervento nel caso di evidenti e significativi scostamenti da valori ritenuti validi come parametri di riferimento.

3) Situazione patrimoniale a valori netti

Se il capitale proprio mantiene la definizione residuale e se il rapporto tra fonti e impieghi, entrambi caratterizzati da breve durata e quindi ritenuti correlabili, è accettabile, allo stesso modo e per analoghe motivazioni può essere proposta una correlazione tra fonti e impieghi a medio-lungo termine.

L’espressione in forma di conto può essere, allora, la seguente:

Situazione patrimoniale al tempo T,1

Capitale Circolante Lordo

CCL

– Passività a breve

PB

___

Capitale Circolante Netto

CCN

Capitale Immobilizzato Lordo

CIL

– Passività a medio-lungo

___

Capitale Immobilizzato Netto

CIN

_______

Capitale Investito Netto

CN

Mezzi Propri

MP

Permane la condizione di equivalenza CN=MP, con MP già depurato dalle quote di utili destinabili all’imprenditore o al dividendo, ma vanno perduti: la distinzione tra fonti e impieghi ed anche il concetto di capitale di funzionamento o investito.

Si tratta ora di esaminare se fra i tre valori rimasti nel conto di bilancio possano esistere correlazioni con significati economici. Distinguiamo due situazioni dell’impresa: lo stato di liquidazione e lo stato di funzionamento.

3,a) Lo stato di liquidazione

Si osserva, innanzi tutto, che la provenienza dei dati non potrebbe essere dal bilancio d’esercizio, ma da un bilancio straordinario di liquidazione.

Però la riduzione del capitale netto alle due componenti di circolante netto ed immobilizzato netto non ha più alcun interesse, per la finalità della integrale monetizzazione con estinzione dell’impresa.

Data tale provenienza, lo schema potrebbe avere una qualche utilità nel caso di coincidenza di uno dei due gruppi di passività con la massa dei debiti preferenziali. In mancanza bisognerebbe variare lo schema nel seguente:

Situazione patrimoniale al tempo T,1

Impieghi con vincolo di Garanzia

IG

– Passività Preferinziali

PP

___

Capitale Libero

CL

Impieghi senza vincolo di Garanzia

IL

– Passività Chirografiarie

PC

___

Capitale Libero

CL

_______

Capitale Liquidabile Netto

CLN

Mezzi Propri

MP

I liquidatori, liberi o giudiziali, fanno spesso uso di una elaborazione di estrema sintesi del tipo esposto per proporre previsioni sulla capienza di categorie di passività nei beni ad esse correlati da vincoli giuridici di privilegio, ma, in questo caso, vi è interesse alla lettura quando sono perduti i mezzi propri e vi è, invece, un deficit patrimoniale, il cui annullamento, quando l’imprenditore non abbia altre disponibilità, imponga sistemazioni giudiziali o stragiudiziali con categorie residuali di creditori.

In ogni caso si è fuori dalla condizione pregiudiziale posta nella premessa di una lettura degli aggregati per ricavare elementi conoscitivi per la conduzione attuale o futura. Se è sempre valida la definizione di azienda come istituto economico atto a perdurare, si dovrebbe concludere che le correlazioni fra aggregati di bilancio in caso di liquidazione sono estranee agli interessi dell’aziendalista.

3,b) Lo stato di funzionamento

Ad una prima considerazione la conoscenza dei valori residuali degli impieghi di mezzi propri non parrebbe di particolare rilievo nemmeno nel caso di funzionamento, proprio perché il tipo di reductio ad minimum proposta sembra orientato più ad una condizione di liquidazione che di funzionamento. Ma più approfondite analisi, sia sui valori assoluti, sia sulle loro variazioni, possono evidenziare significati interessanti.

3,b,i) …sui valori assoluti

Si espongano cinque casi:

A)

– Capitale Circolante Netto:

negativo…CCN<0

– Capitale Immobilizzato Netto:

negativo…CIN<0

e quindi

– Mezzi Propri:

negativi…MP<0

cioè presenza di Deficit patrimoniale.

Si tratta, evidentemente di una situazione patologica. L’analista del bilancio deve proporsi, come fine dell’indagine, giudizi: di irrecuperabilità con conseguente inevitabile liquidazione oppure di recupero dell’azienda a ben determinate condizioni di risanamento, secondo piani di intervento definiti con la conoscenza di tutti gli altri indici ottenuti con l’analisi di bilancio e delle condizioni esterne dell’azienda.

Questo caso è diverso dallo stato di liquidazione esaminato al paragrafo 3,a, perché costituisce, invece, l’analisi che lo può introdurre.

B)

– Capitale Circolante Netto:

negativo…CCN<0

– Capitale Immobilizzato Netto:

positivo…CIN>0

oppure:

– Capitale Circolante Netto:

positivo…CCN>0

– Capitale Immobilizzato Netto:

negativo…CIN<0

ma in entrambi i casi con

– Mezzi Propri:

negativi…MP<0

perché la somma del Capitale Circolante Netto e del Capitale Immobilizzato Netto è un valore negativo…(±CCN ±CIN)<0

La situazione può essere ritenuta un caso particolare di A), da cui si discosta solo perché la positività di uno dei due valori residuali degli impieghi può riservare maggiori probabilità di recupero dell’impresa o diverse ipotesi di intervento nel piano di risanamento, se proponibile.

C)

– Capitale Circolante Netto:

positivo…CCN>0

– Capitale Immobilizzato Netto:

positivo…CIN>0

e quindi

– Mezzi Propri:

positivi…MP>0

In prima approssimazione l’azienda può essere ritenuta strutturalmente equilibrata, ma il giudizio definitivo dipende dalle proporzioni fra CCN e CIN e dal settore di appartenenza.

D)

– Capitale Circolante Netto:

negativo…CCN<0

– Capitale Immobilizzato Netto:

positivo…CIN>0,

ma con sussistenza del capitale proprio, quindi

– Mezzi Propri:

positivi…MP>0

perché in valore assoluto CIN>CCN e quindi la somma di Capitale Circolante Netto e Capitale Immobilizzato Netto è un valore positivo, cioè…(-CCN +CIN)>0

Il giudizio di prima approssimazione può essere di eccessiva immobilizzazione del capitale investito oppure di una errata politica nella strutturazione delle fonti del capitale di credito. Per giudizi di successive approssimazioni si deve far ricorso ad altri indici, ottenuti con l’analisi di bilancio, ma soprattutto alle condizioni esterne all’azienda.

Vi possono essere casi in cui la situazione esaminata è frutto di una politica, la cui razionalità è però condizionata dall’andamento del mercato o dalla validità tecnologica della scelta. In pratica la situazione è tipica della fase di ultimazione di un ciclo d’investimenti, la cui politica potrà rivelarsi rovinosa o strategica, secondo che:

– intervenga o no un ristagno della domanda di mercato;

– oppure, anche in presenza di andamento positivo, gli investimenti realizzati diano risultati di adeguato funzionamento e rispondenza tecnologica.

E)

– Capitale circolante Netto:

positivo…CCN>0

– Capitale Immobilizzato Netto:

negativo…CIN<0

con sussistenza del capitale proprio e quindi

– Mezzi propri:

positivi….MP>0

perché in valore assoluto CCN>CIN. Quindi la somma di Capitale Circolante Netto e Capitale Immobilizzato Netto è un valore positivo, cioè…(+CCN -CIN)>0.

Il giudizio di prima approssimazione può essere di buona liquidità. Dipende dal settore e dalle proporzioni dei valori. Può trattarsi di una situazione determinata:

– da una ristrutturazione del capitale di credito, in cui si è ottenuto il consolidamento di una parte del passivo già a breve,

– oppure da un processo di ammortamento del capitale fisso investito, opportunamente più rapido del piano di smobilizzo del credito ottenuto per finanziarlo,

– oppure da trascuratezza negli investimenti, che, soprattutto in settori a rapida evoluzione tecnologica, può portare l’azienda in posizioni marginali nel mercato per perdita di competitività.

Si può trarre dall’analisi la considerazione che esistono correlazioni interessanti sui valori assoluti delle componenti residuali dei mezzi propri nel caso di uno stato di funzionamento seppur non sempre idonee a fornire risposte immediate, ma stimolanti per le indagini che, con altri indicatori esterni o interni all’azienda, possono rivelare situazioni degne di nota per razionali interventi o per giudizi su politiche attuate.

3,b,ii) …sui valori relativi

Ma in una visione più dinamica e comunque come approccio successivo a quello dei valori, possono essere proposte analisi anche sugli andamenti delle variabili esaminate.

In aggiunta alle conclusioni già raggiunte con la precedente analisi, che non verrebbe modificata, si potrebbero ottenere indicazioni del movimento intervenuto nel corso dell’unità di tempo e quindi di fenomeni in atto, che potrebbero non aver del tutto esaurito la loro forza causale.

L’esposizione di casi in simboli come per il paragrafo 3,b,i si presenta qui più difficile, per il numero elevato delle combinazioni.

Lo schema di bilancio potrebbe essere il seguente:

Situazione patrimoniale comparata

tempo T,0

tempo T,1

Variazio-ni +o-

tempo T,0

tempo T,1

Variazio-ni +o-

Capitale Circolante Netto

CCN

C’C’N’

x

Capitale Immobilizzato Netto

CIN

C’I’N’

y

mezzi Propri

MP

M’P’

z

Vale sempre la condizione di equivalenza z = x + y.

L’analisi può incominciare dalle variazioni di x e di y, che possono essere:

– entrambe positive: in presenza di politiche di autofinanziamento si ha una indicazione della distribuzione fra capitale fisso e circolante dell’incremento del netto patrimoniale;

– entrambe negative: in presenza di valore ancora positivo del capitale proprio si ha una indicazione dei processi di disinvestimento in atto nei mezzi propri, di cui è importante evidenziare le cause;

– una positiva e l’altra negativa: bisogna allora distinguere il caso di (±x ±y)>0, cioè z>0, dal caso (±x ±y)<0, cioè z<0.

Nel primo si è in presenza di investimento complessivo dell’incremento dei mezzi propri, che si cumula con un fenomeno di riduzione di una delle due componenti del capitale proprio. La riduzione può non dipendere dal disinvestimento, ma dall’attuazione di una politica già evidenziata con l’analisi compiuta sui valori assoluti ed analizzata al precedente paragrafo 3,b,i.

Si nota, quindi, che l’analisi delle variazioni può essere considerata come una valida integrazione di quella sui valori assoluti, idonea a fornire indicazioni di una dinamica in atto nei processi di investimento e disinvestimento del capitale proprio ed è rivelatrice di politiche generali di consolidamento o di indebolimento di assetti del capitale investito, da spiegare con l’integrazione di altri indicatori.

4) Collegamento con altri indici

L’analisi del bilancio con gli scopi di valutazioni critiche degli accadimenti e di interpretazione di sintomi per fondate previsioni può essere realizzata razionalmente riconducendo i singoli indici a sistema. Pertanto ogni indice non può non avere collegamenti con tutti gli altri, anche perché deriva da elaborazioni di uno o più dati correlati con l’intero sistema dei valori, che formano il bilancio.

Il collegamento di quelli esaminati e relativi ai capitali netti: circolante e immobilizzato, è, però, mediato ed indiretto, perché essi derivano da compensazioni, che riducono i dati ad estrema sintesi.

È noto che un indice ha valore se contribuisce alla conoscenza di un particolare fenomeno e non sempre la sintesi di una elaborazione algebrica fornisce dati economicamente significativi, risolvendosi invece in tautologie od espressioni solo formali.

Così ad esempio: considerando che R.O.E. (Redditività dei mezzi propri) è il rapporto fra il reddito netto ed i mezzi propri, si potrebbe essere tentati di proporre una scissione dell’indice in parti relative al C.C.N. (Capitale circolante netto) e C.I.N. (Capitale immobilizzato netto), ma i due sottoindici, sebbene algebricamente corretti, sarebbero dei “non-sens” per l’economia aziendale, data la natura residuale sia del reddito netto sia dei mezzi propri.

Il reddito netto, cioè il profitto dell’economia politica, è ciò che rimane dopo la remunerazione degli altri fattori e non un rapporto di effetto a causa con componenti dei mezzi propri.

Pertanto una scissione del Roe in due componenti da riferire al C.C.N. e al C.I.N., rispettivamente:

R.O.E. (C.C.N.)= [(R.N.)*(C.C.N.)]/(M.P.)2

e

R.O.E. (C.C.N.)= [(R.N.)*(C.I.N.)]/(M.P.)2

talché

R.O.E. (C.C.N.) + R.O.E. (C.I.N.)= R.O.E. = (R.N.)/(M.P.)

sono espressioni algebricamente corrette, ma di dubbio significato economico, se prese singolarmente, proprio perché ignorano la natura residuale, rispetto a tutto il sistema dei valori del reddito netto e dei mezzi propri.

Può invece risultare interessante una relazione con espressioni particolari del conto economico.

Sono però necessarie alcune osservazioni sul R.O.I. (Return on Investement), perché possono costituire premesse introduttive alla analisi di un diverso ma affine indice con significati finanziari.

Si definisce R.O. (reddito operativo) una categoria di risultato economico ottenuto per differenza fra M.O.L. (Margine operativo lordo) e gli ammortamenti ed ancora non dedotti: oneri finanziari, componenti straordinarie ed imposte. La dottrina attribuisce rilievo al reddito operativo, perché, posto a rapporto con il totale attivo netto (attivo depurato dei fondi rettificativi e particolarmente quelli relativi agli ammortamenti del capitale fisso) consente la determinazione del R.O.I., che è ritenuto un misuratore dell’efficienza della gestione caratteristica nell’impiego dei fattori produttivi resi disponibili dalle fonti: sia proprie, sia di credito. Il R.O.I. può risultare, ad una prima analisi, un indice economicamente coerente, perché pone a rapporto: al numeratore un flusso di natura economica, già al netto dell’ammortamento, intesa come quota di costo pluriennale ritenuta di competenza del periodo in quanto utilità cedute al processo di formazione del valore aggiunto, ed al denominatore lo stock di fattori, da cui è derivato quel flusso economico. Più concretamente il R.O.I. può essere inteso come il reddito lordo prodotto da ogni lira di capitale investito. Già a questo punto è proponibile una critica contro la prassi di usare al denominatore il valore dello stock di fine anziché di inizio periodo, cioè due valori che non sono più correlati da un rapporto di causa ed effetto.

A parte tale rilievo, si osserva che il R.O.I., ponendo al numeratore il flusso lordo di costi di remunerazione del capitale finanziario e non ancora depurato di componenti fiscali e straordinarie, determina, in pratica, la capacità degli impieghi in fattori accumulabili e conservabili di remunerare le fonti, che nella espressione formale del bilancio assumono veste monetaria e finanziaria. Prescindendo dalle componenti straordinarie, che sono un fattore non necessariamente generale, il reddito operativo è quel valore potenzialmente disponibile per remunerare il capitale di credito e, corrisposti i tributi, compensare, con l’eventuale residuo, il capitale di rischio.

Data la natura dei valori componenti, il R.O.I. comunemente utilizzato, ha significati solo economici. Ma la definizione corrente: di indice espressivo della idoneità della attuata gestione di capitali investiti a remunerare le fonti, può facilitare l’errore di attribuirvi evidenze anche finanziarie. Infatti, se si considera che il numeratore del R.O.I. è già depurato del costo dei fattori specifici e dell’ammortamento, mentre comprende remunerazioni destinabili alle fonti di capitali e alla Finanza pubblica, si può essere indotti a ritenere, almeno in prima approssimazione, che tale tipo di contabilizzazione economica non può non aver garantito anche le relative coperture finanziarie. È pur vero che l’analista accorto prosegue le sue indagini con altri strumenti sugli aspetti finanziari e solo sulla sintesi generale di tutte le analisi economiche, patrimoniali e finanziarie emette un giudizio di compatibilità di remunerazioni del capitale di rischio.

Ma, anche disponendo di tutti i dati per un’analisi completa, può essere utile una elaborazione integrativa sempre nell’ambito dei valori economici, ma con più evidenti risvolti finanziari, finalizzata a decisioni di remunerazione del capitale proprio, indipendentemente da valori di R.O.E. Infatti, giudizi di incapienza finanziaria non possono pregiudicare, in astratto, remunerazione del capitale di credito, dati i termini contrattuali e la protezione giuridica dei rapporti obbligatori, ma inciderebbero sulla remunerazione del capitale di rischio sempre per la già ricordata sua natura residuale. Se viene posto questo obiettivo e si dà come premesso il significato del R.O.I. nelle sue connotazioni esclusivamente economiche, si può proporre l’elaborazione di indicatori, che debbono riferirsi, per definizione, alla struttura residuale del capitale proprio investito. Tali indicatori possono svolgere anche la funzione di ausilio degli amministratori nella formulazione di proposte di distribuzione di dividendi all’assemblea, seppur motivate con diverse formule di stile, che, in genere, fanno riferimento a necessità di potenziamento aziendale.

È però necessario introdurre una ridefinizione o forse anche un ricalcolo dell’ammortamento già contabilizzato nel conto economico.

Infatti l’ammortamento è si un congetturato valore, che può avere natura di quota di costo pluriennale e se determinato con le dovute attenzioni può contribuire alla formazione di un reddito netto effettivo e quindi distribuibile, ma è anche l’aspetto economico di un unico complesso fenomeno che ha, nel contempo, manifestazioni patrimoniali e finanziarie.

Ignorarle non nuoce quando l’obiettivo è solo il reddito di esercizio, purché la determinazione economica della quota di competenza sia corretta, ma diventa rischioso quando si vogliono raggiungere obiettivi collaterali, come la conoscenza del R.O.I., con pretese di inesistenti significati finanziari. Se del fenomeno dell’ammortamento si esaminano le componenti patrimoniali e finanziarie non si può ignorare che quel valore economico rappresentativo di quota di costo è correlato con lo stock patrimonializzato (impieghi), che, a sua volta, è correlato con le fonti: capitale di credito e di rischio. Trascurando, per semplicità e per il momento, il capitale di rischio e limitando l’analisi al caso di acquisizione del capitale fisso ammortizzabile con solo capitale di credito (quello, peraltro più frequente, di fonti miste può essere ritenuto e risolto come un caso particolare), si può considerare che quell’ammortamento deve essere in realtà almeno non inferiore alla quota di capitale di rimborso del prestito dovuta nel periodo e che l’esercizio deve essere in grado di sopportare, posta l’inconvertibile verità che i debiti si pagano con il reddito.

Pertanto in queste note è posta la condizione che l’ammortamento dei beni acquisiti con capitali di credito deve consentire almeno il regolare rimborso del prestito, affinché sia garantito l’equilibrio finanziario della azienda.

Molti insuccessi imprenditoriali, tra l’altro non sempre correttamente diagnosticati dal patologo dell’economia d’azienda, sono proprio da ricercare nella mancata correlazione fra il fenomeno finanziario del rimborso del capitale di credito (rotazione delle fonti) con la determinazione economica dell’ammortamento.

Nel caso dell’investimento con capitale di prestito: la durata e la sequenza dei tempi di rientro e non, invece, i pur rilevanti fenomeni di degrado materiale ed obsolescenza tecnico-economica dell’investimento devono determinare il valore minimo dell’ammortamento. È un caso in cui l’aspetto giuridico del rapporto di credito prevale su quello economico. La puntualizzazione vale per l’analisi del bilancio, non necessariamente per la sua formazione, che deve rispettare criteri spesso diversi per diversi fini. Nel caso di acquisizione di beni in leasing ciò avviene implicitamente con l’addebito dei canoni all’esercizio, pari a quote capitali ed interessi. L’analista che fa uso del R.O.I. in genere lo ignora e tratta masse di dati per correlazioni solo parziali, anche in economie in cui sono presenti contemporaneamente finanziamenti tradizionali ed acquisizioni in leasing e quindi conti economici che sommano canoni di locazione sicuramente comprensivi di ammortamento in senso stretto, che forse tale copertura non garantiscono. Proprio per la natura spuria di molti conti economici, dopo aver proposto indici del tipo R.O.I., è allora necessario indagare sulla congruità dell’ammortamento per verificare se la parte attribuibile ai beni acquisiti con capitale di credito copra almeno la quota capitale da rimborsare nell’esercizio. L’eventuale parte rimanente dell’ammortamento totale di bilancio è attribuibile, “de residuo“, agli impieghi da ritenere realizzati con capitale proprio, che, invece, debbono avere una determinazione solo economica, eventualmente integrata da correttivi di natura monetaria per tener conto, in caso di inflazione, del fenomeno del rimpiazzo.

Se per semplicità si trascurano le componenti straordinarie ed il prelievo fiscale, le prime perché non generalizzabili ed il secondo perché condizionato all’esistenza di un utile residuale e quindi in astratto in esso assorbibile, si può ridurre il R.O.I. alla somma delle due componenti: utile netto/attivo e oneri finanziari/attivo. Si ritorna così alla definizione iniziale di un R.O.I. che misura la capacità della gestione di generare dal capitale netto investito un flusso atto a remunerare il capitale proprio ed il capitale di credito, sempre, naturalmente, alla condizione che il valore dell’ammortamento sia congruo per gli scopi sopra considerati, ciò che può esigere una misura diversa da quella inserita nel sistemi dei valori del bilancio.

La conclusione di questa premessa è che il reddito operativo, inteso nella definizione tradizionale, si inserisce in un asse di valori economici costituiti da: margine operativo lordo, ammortamento di beni acquisiti con ricorso al prestito e per brevità definiti “ammortamenti esterni”, ammortamenti di beni investiti con capitali propri e per brevità definiti “ammortamenti interni”, e gli oneri finanziari.

Ma come è stato avvertito all’inizio del presente capitolo, l’analisi critica del R.O.I. aveva solo funzione di premessa, perché lo scopo di queste note sono invece i rapporti connessi ad una situazione patrimoniale a valori netti, ipotizzata al capitolo 3.

Poiché la nostra analisi opera su valori netti, cioè già depurati delle fonti esterne (passività) il R.O.I. non è utilizzabile. Se si vogliono ricercare indici significativi è anche necessario sostituire il reddito operativo, non essendovi più considerazioni relative a remunerazione di capitali di terzi.

Si può, allora, proporre una struttura parziale di conto economico scalare, che preveda:

Margine Operativo Lordo

– Ammortamenti esterni

– oneri finanziari

……………………..

Margine Operativo Proprio (M.O.P.)

– Ammortamenti interni

……………………..

Reddito Operativo Proprio (R.O.P.)

Il R.O.P., che è entità intermedia ma analoga al reddito netto, può essere una misura della capacità della gestione di tradurre in reddito l’impiego di capitali netti, cioè propri: circolante ed immobilizzato. Resta l’obiezione prima rilevata a proposito del R.O.E. e cioè che il reddito netto è un valore residuale che non necessariamente fluisce dal capitale proprio, anzi la vera capacità imprenditoriale è nel far fruttare per sé i capitali di credito e non un mix di C.C.N. e di C.I.N.

Ci si può chiedere a questo punto se sono ricavabili rapporti o comunque proponibili correlazioni fra voci e valori della situazione patrimoniale di estrema sintesi:

Capitale Circolante Netto

C.C.N.

Capitale Immobilizzato Netto

C.I.N.

Mezzi Propri

M.P.

ed alcuni valori del conto economico scalare sopra ipotizzato.

Abbiamo già notato che scomposizioni di un indice sintetico per attribuire valori e presunte componenti correlate a C.C.N. e C.I.N. non avrebbero rilevanti significati.

Piuttosto pare importante analizzare la correlazione fra il valore degli “Ammortamenti interni” e la politica di distribuzione degli utili. La natura residuale, quindi conseguita con compensazioni, del reddito netto può essere ingannevole, soprattutto perché può risentire del valore degli ammortamenti determinati in bilancio secondo parametri economici globali, che, ad esempio, non tengano conto degli aspetti giuridico-finanziari sopra esaminati in correlazione con gli investimenti effettuati con capitali di credito e rimborsabili secondo accordi contrattuali, che, però, non ignorano il fenomeno del degrado tecnico-economico dei beni acquistati, quando i capitali di credito sono forniti da prestatori istituzionali e professionali.

Poiché si è invece qui ipotizzata una corretta determinazione di tale componente, il valore degli “Ammortamenti interni” è determinabile per differenza fra i primi e l’ammortamento di bilancio. Si pone allora il problema della valutazione della congruità di quel valore differenziale rispetto alla reale misura necessaria a conservare alla struttura la sua dimensione attuale o, per politiche espansive, la diversa dimensione indicata come obiettivo.

Gli eventuali scostamenti, posto il reddito netto di bilancio ormai come un dato, possono influire sulla politica di distribuzione degli utili per realizzare con l’autofinanziamento eventuali insufficienze del valore degli “Ammortamenti interni”. Può diventare allora significativo un indice del grado annuale di ammortamento del tipo:

 

Ammortamenti interni/C.I.N.

E fin qui l’analisi dei valori assoluti di un bilancio. Ma in parallelo al capitolo 3 può essere proposta un’analisi dinamica su una serie di esercizi.

Accertata la congruità degli ammortamenti interni, la rilevazione dell’andamento dell’indice sopra indicato può suggerire valutazioni critiche sulla politica di investimento da autofinanziamento. Ad esempio: la costanza del valore del tempo indica che l’autofinanziamento imputabile all’ammortamento interno viene reinvestito in capitale immobilizzato. Indici crescenti sono sintomo di un abbandono dell’investimento del capitale proprio ed allora l’analista deve verificare se vi è sostituzione di investimento con capitale di credito o se è in atto una politica di disinvestimento in termini assoluti. Indici decrescenti denotano investimento superiore agli ammortamenti interni, ciò che è possibile, in mancanza di aumenti di capitale sociale, quando l’utile netto, superiore all’ammortamento interno, viene reinvestito per valore superiore a quest’ultimo, a meno di disinvestimenti di capitale circolante. Pertanto l’analisi dei due valori CCN e CIN non può essere condotta disgiuntamente.

Il fenomeno descritto è rilevabile nella appendice esemplificativa.

 

5) Conclusioni:

Ancora una volta è dimostrato che l’analista del bilancio deve avere coscienza di compiere opera di storico e non di fisico-matematico. E dello storico deve avere la coscienza deontologica: se mancano i documenti idonei a dimostrare le cause dei fatti è bene rinunciare alla loro interpretazione, a meno di fare del giornalismo aneddotico e comunque purché non sia spacciato per opera storica.

Purtroppo l’uso di indici aziendali, già di difficile trattamento per attenti analisti, trova divulgazioni acritiche, che facilitano giudizi distorti, talora interessati, su situazioni in realtà diverse da quelle diagnosticate. Ciò non contribuisce a far entrare l’economia aziendale fra le scienze positive, né a farla uscire da uno stato di arte, di cui, tra l’altro, non fornirebbe mai godimenti estetici.

6) Appendice

La funzione dell’ammortamento in relazione ad impegni di rimborso delle fonti di approvvigionamento del capitale può essere evidenziata esemplificando il caso di una società costituita per un solo ciclo di affari a durata predeterminata (la costruzione di un’opera di un paese del terzo mondo) e con investimenti di capitali fissi iniziali senza rinnovi e con abbandono gratuito in loco a fine lavori. Possono essere poste le seguenti ulteriori ipotesi:

– durata 5 anni

– andamento costante di costi e ricavi nei singoli esercizi, senza rimanenze finali, perché incorporate nei ricavi previa liquidazione di stati di avanzamento a fine esercizio

– ricavi annuali 1000

– costi 920

– capitale immobilizzato iniziale 160, finanziato per 50 con prestito rimborsabile in 5 anni con quote capitali costanti posticipate ed interessi del 10% sul ddebito residuo

– capitale circolante di 120 finanziato per 100 con indebitamento rotativo a breve termine

– capitale sociale 130

– carico fiscale circa il 40%

– utili netti tutti distribuiti

– liquidazione al termine del quinquennio

– assenza di gestione finanziaria delle liquidità.

La situazione patrimoniale al tempo t0 è pertanto la seguente:

ATTIVITÀ

PASSIVITÀ e PATRIMONIO

Capitale Circolante

120

Debiti a breve termine

100

Capitale Immobilizzato

160

Debiti a medio termine

50

Mezzi Propri

130

Compensando i valori secondo l’ipotesi del Capitolo 3 si ha:

ATTIVITÀ

PATRIMONIO

Capitale Circolante Netto

C.C.N.

20

Capitale Immobilizzato Netto

C.I.N.

110

Mezzi Propri

M.P.

130

Situazioni patrimoniali ed economiche alla fine dei cinque esercizi sono le seguenti:

t1

t2

t3

t4

t5

Situazione patrimoniale

C.C.N.

42

64

86

108

130

C.I.N.

88

66

44

22

_______

_______

_______

_______

_______

130

130

130

130

130

_______

_______

_______

_______

_______

M.P.

130

130

130

130

130

Situazione economica

Ricavi

1000

1000

1000

1000

1000

Costi

920

920

920

920

920

_______

_______

_______

_______

_______

M.O.L.

80

80

80

80

80

Oneri finanziari

5

4

3

2

1

_______

_______

_______

_______

_______

75

76

77

78

79

Ammortamenti esterni

10

10

10

10

10

_______

_______

_______

_______

_______

M.O.P.

65

66

67

68

69

Ammortamenti interni (110/5)

22

22

22

22

22

_______

_______

_______

_______

_______

R.O.P.

43

44

45

46

47

Imposte

13

13

14

14

15

_______

_______

_______

_______

_______

Reddito netto

30

31

31

32

32

_______

_______

_______

_______

_______

Indici

Ammortamento Interno/C.I.N. (iniziale)

0,2

0,25

0,33

0,5

1

Si nota che dopo il quinto esercizio, rimborsati i debiti a breve di 100, la società dispone di liquidità pari al capitale sociale da rimborsare, mentre il prestito è stato estinto con quote annuali generate finanziariamente dal relativo ammortamento economico.

L’esempio è banale, ma non irreale ed è proposto per rendere più evidente il diverso caso generale della continuità dell’impresa, anziché una predeterminata liquidazione.

Nella fattispecie il rapporto Amm.Interni/C.I.N. ha un andamento crescente, perché l’ammortamento si raffronta con un C.I.N. progressivamente decrescente. In condizioni normali, diverse dal caso volutamente semplificato, ciò sarebbe preoccupante, perché, in mancanza di politiche alternative razionali (cambiamento dell’oggetto sociale, approvvigionamento di capitali di credito a condizioni particolarmente vantaggiose, ecc.) l’andamento degli indici nel tempo significherebbe un disinvestimento nella struttura produttiva e quindi una probabile perdita di competitività dell’impresa.

Sempre partendo dall’esempio, ma sostituendo l’ipotesi della liquidazione alla fine del quinto esercizio con quello della continuità, si sarebbe potuta ottenere la costanza dell’indice (0,2), ferma un’aliquota del 20% annuo, investendo in ogni esercizio un valore pari all’ammortamento interno. In assenza di nuovi investimenti con capitali di prestito, il mantenimento dell’indice è un’espressione, coeteris paribus, del mantenimento della capacità produttiva. Politiche espansive sarebbero rivelate da un andamento decrescente degli indici.

È evidente che l’analisi va compiuta in sistema, con riferimento ad altri indici ed alla conoscenza delle politiche aziendali.

La politica dell’ammortamento, per la sua correlazione finanziaria, genera flussi di cassa destinabili alle politiche di investimento, ma se, obiettivi di migliori equilibri nelle dimensioni del capitale circolante e delle sue fonti di finanziamento impongono assorbimento della liquidità generata anche dall’ammortamento, una concorrente politica di investimenti in immobilizzazioni può essere realizzata solo con ritenzioni di utili, se l’impresa vuol mantenere il grado di indipendenza esterna.

L’indice ed i valori del C.I.N. assumono allora importanza strategica per le politiche del dividendo connesso al potenziamento aziendale.

31.12.1986

Pietro Bonazza