L’attuale art. 2474 cod. civ., recita: «In nessun caso la società può acquistare o accettare in garanzia partecipazioni proprie, ovvero accordare prestiti o fornire garanzia per il loro acquisto o la loro sottoscrizione». A prima lettura si deve riconoscere che l’interpretazione grammaticale suggerita dall’art. 12, comma 1, delle Preleggi, “sembra” non consentire deroghe e che si tratti di norma con valore assoluto. Peraltro, si osserva che l’art. 2474 è la copia letterale dell’art. 2483 previgente alla riforma del D.Lgs. 6/2003, per cui potrebbero essere utilizzare le analisi di dottrina e le dichiarazioni giurisprudenziali risalenti, che hanno ancorato le proprie conclusioni alla ratio dell’intento del legislatore di garantire i creditori sociali, più esposti a rischio rispetto a quelli della società per azioni. Si leggono dissensi a tale formalistico rigore da parte di giuristi, che ammettevano deroghe nel caso di riduzione del capitale per esuberanza (si veda, in giurisprudenza: Trib. Casale Monferrato 12/3/1993 e in dottrina: Santini “La società a responsabilità limitata”).
Però, l’innovazione del D.Lgs. 6/2003 sul particolare profilo della s.r.l. ha creato più confusioni che chiarezza, come si evince dalla constatazione che

  1. da un lato ha approfondito l’intuitu personae, avvicinando questo tipo di società a quello delle società di persone e creando un sistema autonomo rispetto alle s.p.a. così rendendone più difficili applicazioni analogiche,
  2. dall’altro ha consentito alle s.r.l. l’emissione di titoli di debito ex art. 2483 cod. civ. (per molti, sic et simpliciter “emissione di obbligazioni”), cioè uno strumento finanziario tipico delle s.p.a., ne deriva che, proprio per l’evidente contraddizione con il punto precedente, si dubita che la vecchia ratio possa valere in modo assoluto anche nel nuovo sistema.
  3. In primo luogo, si osserva che la codificazione delle norme ha come primario obiettivo: il coordinamento, la omogeneizzazione e l’armonizzazione di norme fino a crearne un sistema. Pertanto, la ratio di una norma, inclusa nella codificazione, non può più essere avulsa da una riconduzione alla ratio del sistema di cui è parte. Detto per inciso: la ratio deve sempre rapportarsi anche ai principi generali dell’ordinamento. Quindi, l’interpretazione più adeguata parrebbe essere quella sistematica.
  4. In secondo luogo e come conseguenza, si dovrebbe applicare all’art. 2474 cod. civ. l’interpretazione grammaticale, ma non si otterrebbero risultati diversi. Infatti, la norma vieta in termini assoluti (“in nessun caso“) di “acquistare o accettare in garanzia partecipazioni proprie“, il che implica, in caso di trasgressione, una volontà o delibera, che manifesta l’intento di attuare un’operazione vietata a cui farà seguito l’esecuzione della delibera stessa. L’asse temporale decisione-attuazione è essenziale per l’interpretazione dell’art. 2474 cod. civ. Si potrebbe, forse, dubitare che sia legittima la riduzione del capitale per esuberanza mediante acquisto di partecipazioni proprie, ma non nei casi in cui la detenzione di una quota del capitale proprio sia anteriore alla s.r.l., che riceve l’operazione già avvenuta e consolidata come fosse una successione. Si facciano gli esempi della trasformazione di una società per azioni già detentrice di azioni proprie in s.r.l. o di certi tipi di fusione per incorporazione. Si dubita che il rigorismo letterale dell’art. 2474 cod. civ. possa impedire un’operazione di trasformazione o fusione o rendere necessaria una operazione preventiva di alienazione di azioni proprie pena l’impossibilità di eseguire un’operazione di trasformazione in sé legittima e incondizionata. Si propende per una risposta negativa, nel senso che, riconducendo l’art. 2474 cod. civ. alla ratio generale del sistema l’operazione deve essere dichiarata possibile, con il mantenimento nel patrimonio netto contabile della parte passiva (A-VI con descrizione modificata in “Riserva per quote proprie in portafoglio” di cui all’art. 2424 cod. civ., che vale anche per s.r.l.), e all’attivo una posta n. III-IV “Quote proprie” di un ex c/azioni proprie. Non si vede quale possa essere il danno che ne deriverebbe ai creditori, che si trovano di fronte una società che mantiene il precedente equilibrio finanziario e patrimoniale, rispetto a una trasformazione o fusione, che, per essere attuabile secondo ratio inaccettabili per la loro ristrettezza, dovrebbe ridurre preventivamente il proprio capitale a favore dei soci e, quindi, a danno proprio dei creditori che si vorrebbero proteggere.

Per dubitare del valore assoluto del divieto dell’art. 2474, comma 1, cod. civ., si deve ancora osservare che è ammessa la riduzione del capitale nella s.r.l. (art. 2482 cod. civ.), per cui non potrebbe essere vietato l’acquisto di quote proprie finalizzato alla successiva riduzione anche non immediata del capitale sociale. Si noti che l’attuazione dell’operazione di riduzione potrebbe anche tardare e, nel contempo, le quote proprie acquistate dovrebbero pur figurare in bilancio. Inoltre, se, in attesa di attuazione della riduzione, si presentasse l’occasione favorevole, la società potrebbe vendere le partecipazioni proprie nel rispetto dei diritti di prelazione. A fortiori l’osservazione dovrebbe valere per le quote proprie (ex azioni proprie) pervenute, ma sarebbe meglio dire mantenute, in sede di trasformazione o fusione.
In termini più generali si rilevi che è significativa la previsione dell’art. 2473, comma 4, cod. civ., che, per il recesso, gli altri soci possono rendersi acquirenti della quota del recedente oppure far subentrare un terzo concordemente individuato. Si osserva che la norma, peraltro pleonastica, non prevede una contestualità né un termine preciso tra recesso e subentro e, quindi, può accadere, in concreto, che scorra un intervallo tra rimborso al receduto (centottanta giorni) e il subentro di vecchi o nuovi soci. Nell’intervallo la partecipazione del receduto non potrebbe che essere parcheggiata tra le attività del bilancio della s.r.l., in mancanza di una imposizione di un “senza indugio”, come previsto, invece, dall’art. 2446 cod. civ., termine ritenuto non assoluto da costante giurisprudenza, perché il “principio di ragionevolezza” è di rango prevalente.
Si può concludere, con la dottrina maggioritaria, che l’art. 2474 cod. civ. non è norma assoluta e il parcheggio della quota del receduto tra le attività del bilancio della s.r.l. non può essere inibito, perché l’acquisto sarebbe, come afferma certa dottrina, un contratto nullo perché realizzato in violazione di una norma di legge ritenuta imperativa.
Peraltro, si osservi che in questa nota non si è usato il termine “norma imperativa” in riferimento alla locuzione “in nessun caso” dell’art. 2474 cod. civ., ma “norma non assoluta”, che non contraddice il significato letterale della norma, ma fa salve situazioni specifiche legate alla necessità di una attuazione non immediata del prescritto legislativo, perché in diritto civile si deve aver riguardo all’esito finale di una operazione articolata in fasi successive. Per questo motivo esiste l’istituto della sanatoria di operazioni nulle.
 
Pietro e Giulia Bonazza