1 – Introduzione
Stress testing  è un complesso di operazioni previsionali, rientranti nel concetto di sensitività (what if) e che, con strumenti di random walk di natura stocastica, consente il monitoraggio preventivo delle situazioni, varie secondo le ipotesi poste, in cui l’impresa potrebbe trovarsi in momenti di crisi, interne e/o esterne, coinvolgenti gli assetti economici, finanziari e patrimoniali, e, per le correlazioni fra essi, di tutto l’insieme.
Si tratta di analisi difficile e delicata fondata su dati di natura previsionale soggetti a smentite e correzioni nel tempo anche breve, talché, se la si adotta come strumento orientativo della gestione, è necessario programmare la sua sistematicità e periodizzazione nel sistema di tutte le analisi dell’impresa e non certo lasciata a scelte una tantum, che si ridurrebbero a mera scommessa.
Nelle imprese bancarie e assicurative, soggette a controllo costante di autorità esterne, l’analisi di stress test è imposta per tenere sotto costante controllo gli scenari negativi, che potrebbero verificarsi in casi di crisi in primis sui coefficienti di liquidità e di solvibilità, che rivestono una importanza pubblica e generale, data la funzione di infrastruttura dell’intera economia, a cui tali imprese sono preposte. La relativa omogeneità di questi due tipi di imprese rende possibile una generalizzazione di metodi di analisi e parametri di riferimento, espressi in rapporti (ratio)
Meno diffusa è tale analisi per le imprese non bancarie e non assicurative, anche se l’importanza per il risk management è crescente e resa sensibile soprattutto dalla crisi che dal 2008 attanaglia l’economia mondiale. Peraltro, data la variabilità e la gamma estesa dei tipi di imprese, l’analisi di stress non è facilmente traducibile in programmi organici di software, che non potrebbero tenere in considerazione le peculiarità di ogni singola impresa e finirebbero per essere pacchetti di canovacci, da riempire con le variabili delle singole situazioni, pur esse soggette a continui cambiamenti. Però, i motivi di difficoltà non devono essere giustificazioni per trascurare un tipo di analisi, che, se correttamente formulata e continuamente aggiornata, può evitare cadute non previste e insensibili a terapie improvvisate dell’ultima ora. Il problema non è certo una novità, anche se affrontato in diverse ottiche in passato, talché si potrebbe persino ritenere che lo stress testing è una variante dei business plan, esasperati dalla introduzione di variabili negative legate a eventi disastrosi, che devono concludersi con considerazioni sulla capacità dell’impresa di sopravvivere e superare eventi e momenti avversi. Proprio la difficile generalizzazione delle “variabili” richiede che ogni impresa abbia suoi approcci suggeriti dalle proprie caratteristiche, di cui, spesso, è difficile la loro traduzione in termini quantitativi, come nel caso, per esempio, di cambi generazionali e/o manageriali.
Si deve anche rilevare che lo stress testing per le banche e per le imprese di assicurazioni, sollecitati dalle rispettive autorità nazionali e internazionali [1] hanno obiettivi più mirati, che riguardano coefficienti di liquidità e solvibilità. Quindi, le analisi, anziché estendersi all’intero bilancio in forma contabile preventiva, possono essere condotti per masse di attività, corrette secondo coefficienti di rischio in rapporto a dimensioni dei mezzi propri (tier nelle varie espressioni) per le banche e per le imprese di assicurazione con analoghi riferimenti all’attivo e manifestazioni del rischio sinistri, soprattutto di dimensioni catastrofali e le relative coperture di coassicurazione e riassicurazione.
 
2 – Imprese non bancarie e non assicurative
 
L’analisi è fondata su un rapporto di causa-effetto, in cui le cause sono rappresentate da eventi  negativi avversi e gli effetti il sopravvenire di fenomeni che possono compromettere la resistenza e la finale esistenza dell’impresa. La conclusione del processo di analisi deve porre la previsione temporale del quando la morte dell’impresa può verificarsi. Quindi si tratta di uno schema dinamico, che, ancorché possa trarre l’origine in fatti generali esterni o prevalentemente esterni all’impresa, deve riguardare la singola unità imprenditoriale. Infatti, non avrebbe senso un’ipotesi di travolgimento di tutto il mercato o anche solo del settore di appartenenza dell’impresa in questione. Se, per fare un esempio limite, si potesse prevedere che nell’arco di un triennio più nessuno porterà la cravatta, sarebbe inutile proporre un’analisi di stress testing per l’impresa A, ma lo avrebbe se si ponesse la condizione preliminare che spariranno tutti i cravattifici che non avranno saputo o potuto convertire i propri processi produttivi destinandoli a nuovi prodotti.
Lo stress testing non è, allora, solo una previsione di un inevitabile rilascio del certificato di morte da parte del mercato, ma può essere l’incentivo ad adottare per tempo politiche di ristrutturazione adatte a superare stati di crisi, le cui cause potrebbero, e in genere sono, di origine interna, più facili da correggere rispetto a quelle di origine esterna. In molti casi si tratta di correggere errori di struttura, di organizzazione, di processi di scelta, specie nelle politiche di investimento. L’analista di stress testing potrebbe concludere con la diagnosi: se l’impresa A non adotta la politica B entro il tempo T, è destinata a perire. In presenza di fenomeni finali irreversibili, l’ulteriore considerazione potrebbe essere l’inutilità di apportare capitali freschi, perché l’impresa può essere paragonata alla biologia umana, che sconsiglia accanimenti terapeutici per prolungare farmacologicamente conclusioni naturali.
 
3 – Le aree oggetto di analisi
 
Per le imprese non bancarie e non assicurative è difficile proporre modelli generali data la vastità del comparto residuale. Si può esemplificare analizzando il caso delle imprese manifatturiere.
L’analisi degli equilibri dell’impresa considera separatamente, ma solo per motivi di semplificazione: il patrimoniale, il finanziario e l’economico. In realtà le correlazioni fra i tre sono talmente strette da suggerire l’idea di un fenomeno tridimensionale. Alla fine l’equilibrio è uno. Se si rompe anche uno solo dei tre è l’intera impresa che ne esce compromessa. Si noti che il fenomeno impresa è più monolitico di quello biologico, in cui esistesse un genus con tre species: una specie può anche estinguersi senza compromettere la sopravvivenza delle altre due e ancor meno del genere. Per semplificare: se un’impresa ha una massa di ricavi sotto il break-even point con produzione di perdite economiche, la ricaduta immediata o comunque di breve periodo è sull’equilibrio finanziario e su quello patrimoniale. Viceversa una carenza di mezzi propri compromette l’equilibrio finanziario, può rendere impossibile una posizione di leverage, imporre il sostegno di interessi passivi che compromettono il conto economico. Esistono casi di imprese con leverage accentuato e duraturo, però caratterizzate da un differenziale ricavi-costi tale da consentire non solo la sopportazione dei costi del capitale di credito, ma anche generosi risultati netti di conto economico. Si tratta però di casi isolati e comunque non destinati alla permanenza (nicchia, monopolio temporaneo, ecc.), perché prima o poi l’impresa prudentemente gestita tende a ridurre il leverage, se non altro per motivi di rischio e/o di miglioramento del conto economico con la riduzione degli oneri finanziari e questo fine lo si persegue con una politica prudente e restrittiva di distribuzione degli utili, fino a consolidare riserve che rendono più autonoma l’impresa.
La strettissima correlazione fra i tre equilibri rende difficile la scelta della partenza dell’analisi, che non può essere parcellizzata. Per semplificare potremmo affermare: una è l’impresa e uno è il suo equilibrio, che si esprime nel bilancio. Pertanto, sembra logico e quasi consequenziale che si possa svolgere l’ipotesi di mettere in evidenza gli effetti a partire dal bilancio x e sui successivi x+1…+n fino all’irreversibilità della perdita di vitalità dell’impresa. In ipotesi di analisi non settorizzata ma con conclusione finale, si può concludere che una conoscenza completa e quantitativa è da ricondurre allo strumento del bilancio previsionale, in cui i parametri “normali” sono sottoposti a stress, cioè sostituiti da ipotesi di eventi negativi avversi, ovviamente collegati alle relative percentuali previsionali di avveramento.
In diagramma i rapporti tra gli equilibri possono essere così rappresentati:

 
Per fare un esempio realistico, immaginiamo che nei primi mesi dell’anno 2007, un’impresa svolga un’analisi di stress testing, paventando una caduta del mercato per il 50% dei ricavi nel successivo triennio (in alcuni settori è proprio avvenuto un tale fenomeno). L’analisi avrebbe potuto rivelare perdite tali da compromettere la sopravvivenza dell’impresa, in questo caso per fenomeni esterni insuperabili dalla singola impresa. Il “che cosa fare” in tale scenario è affidato più alle speranze che alle politiche interne. Ma, si potrebbe mettere in risalto lo stesso effetto per cause dovute a una errata politica degli investimenti in capitale fisso, inadeguato a sostenere l’impatto della concorrenza, o obsoleto e antieconomico. La conclusione del “che fare” sarebbe in questo caso lasciata alle politiche interne e alla possibilità di reperimento dei capitali per un turning point, la cui mancata adozione celebrerebbe le esequie dell’impresa.
La conclusione del processo logico porta a constatare che dopo l’analisi delle cause deve essere posto in evidenza il “quando”. Il tempo, prima ancora del valore, è il cuore dell’economia, perché l’economia è essenzialmente “tempo”. Viene alla mente il paragone con la strategia bellica dell’assedio in cui gli assediati si chiedono: quanto tempo potremo resistere date le nostre scorte di cibo, acqua e munizioni o se non arrivano soccorsi o se l’assediante non viene colto da un’epidemia ed è costretto a mollare. La storia è piena di esempi e quella economica non è meno esplicita.
L’analisi degli effetti degli shock nelle imprese manifatturiere può riguardare:

  1. Shock sulle vendite e, quindi, sulla produzione [2] a parità di prezzo rispetto a periodi precedenti con effetti sui:
  2. conto economico e conseguente verifica di come abbassare il punto di equilibrio
  3. valore delle immobilizzazioni, che, in caso di riduzione permanente, possono diventare eccedentarie;
  4. ricaduta sulla dimensione del risultato economico;
  5. ricaduta sul valore del patrimonio;
    1. shock sulle vendite, che rimangono costanti in quantità, ma con stabile diminuzione del prezzo di vendita. Gli effetti sono analoghi a quelli del caso 1., ma senza svalutazione delle immobilizzazioni;
    2. shock sul circuito per svalutazione delle rimanenze nel caso 2., che rimangono costanti in quantità, ma con necessità di svalutazioni anche sotto il valore LIFO specie se le fasce LIFO sono recenti;
    3. shock sull’equilibrio finanziario per revoca dei fidi, dipendenti dalla politica del sistema bancario e non per sfiducia verso l’impresa, e/o per blocco o rallentamento del ciclo del credito della singola impresa [3]
    4. shock sulla dimensione dei mezzi propri per delibera assembleare di distribuzione di riserve e conseguente crisi finanziaria per il pagamento, con ricaduta sul conto economico per maggiori oneri finanziari sull’allargamento dei fidi bancari, ammesso che il sistema bancario non interpreti negativamente la scelta dell’impresa, in genere propenso a restringere e non ad ampliare i fidi in presenza di riduzioni del patrimonio netto

 
 
4 – Mezzi propri e capitale di credito
 
Lo stress test si conclude sempre con un giudizio, che, in caso di caduta in zona di pericolo, esige la risposta alla domanda: che cosa fare? Se la diagnosi è infausta e la risposta è: non c’è più nulla da fare, allora, le azioni proponibili possono suggerire alternativamente: la cessione dell’impresa, la liquidazione, operazioni societarie straordinarie, sistemazioni con i creditori, ricorso a procedure giudiziarie in modo da evitare il meno onorevole fallimento. Ma, se la risposta è in una maggior dotazione di capitale, si deve porre il problema del reperimento, che diventa tanto più difficile quanto più l’impresa è vicina al punto di rottura prevedibile con le analisi di stress. Infatti, lo stress testing non può essere un’analisi fine a se stessa, ma deve mettere in movimento preventivo le soluzioni più adatte al singolo caso. Come si è già detto, se il problema è in una necessità di capitale adeguata ad affrontare la situazione patologica, si devono proporre: aumenti di capitale, ricorso o consolidamento del capitale di credito, mix di entrambi.
1)      Il reperimento di nuovo capitale di rischio comporta almeno due difficoltà: la necessità di dichiarare la situazione reale dell’impresa e la formazione di credibile “piano industriale”; inoltre, la considerazione che il capitale, anche di rischio, genera il costo della sua remunerazione, a meno che non si tratti di impresa familiare o a ristretta base;
2)      il capitale di credito non ha certo la stabilità del capitale di rischio e la sua dimensione in atto non può essere compromessa con anticipazioni ai fornitori commerciali, che arresterebbero o ridimensionerebbero gli approvvigionamenti, e nemmeno ai fornitori di credito bancario, ai quali dovrebbero essere avanzate richieste di consolidamento convertendo credito a breve in credito a lungo termine;
3)      il mix suggerisce due analisi:
a)      il costo d tutto il capitale, determinabile secondo la formula del costo ponderato del capitale c=(z.d+s.i)/(z+s) con c=costo ponderato del capitale; z=mezzi propri; d=remunerazione dei mezzi propri; s=capitale di credito; i=interesse sul capitale di credito [4]. Gli oneri finanziari interessano direttamente il c/economico con effetto riduttivo dell’utile netto contabile; ma sarebbe un errore considerare i mezzi propri come afflusso di capitale senza costo, perché il capitale di rischio ha un suo prezzo, la cui proiezione al futuro risente dalla storia passata. Il pay-out dei dividendi è tenuto in considerazione dai potenziali sottoscrittori di aumenti di capitale;
b)      il valore del cash flow libero previsionale. Questo valore misura la capacità di rimborso della massa dei debiti, dopo aver detratto i dividendi e il finanziamento degli investimenti. Se il valore residuo è positivo, l’impresa sarà in grado di gestire il rientro del debito, se pari a zero il continuo rigiro del debito in una pericolosa situazione di stazionarietà, se negativo la necessità di ulteriori rifinanziamenti. Il collegamento con i risultati dell’analisi di stress testing è evidente e soprattutto con i dati conclusivi del piano industriale, che non sarebbe credibile e non sortirebbe alcun effetto in caso di previsione di un cash flow libero  non in grado di risolvere situazioni patologiche.
 
5 – Conclusione
L’uso del termine strategia si è molto diffuso nell’economia di azienda, perché sintetizza un complesso coordinato di scelte e di azioni soprattutto quando si constata la necessità di un turning point. Ma la strategia non può mai essere una scelta casuale, però programmata, anche se nel disegno non possono essere escluse componenti di natura probabilistica. L’analisi di stress testing è una premessa necessaria a scelte strategiche non solo per politiche aggressive, ma anche solo conservative. Secondo classica definizione, l’azienda è un istituto destinato a durare nel tempo e il fine è ben tradotto nell’art, 2423-bis, comma 1, n. 1, cod. civ. nella locuzione ”prospettiva della continuazione dell’attività”. L’analisi di stress testing fornisce preziose informazioni per realizzare obiettivi economici e di legge.
Pietro e Giulia Bonazza

 
[1] Lo stress testing per le banche è sollecitato, oltre che dalla Banca d’Italia, dal Comitato di Basilea con il rispetto di 15 principi; quello per le imprese di assicurazione dall’ISVAP.
 
[2] Nel periodo 2008-2012 in alcuni settori si sono verificati cali dell’impiego della capacità produttiva del 40-50%.
 
[3] Nel periodo 2008-2012 si è verificato un sensibile rallentamento nella durata di incasso dei crediti commerciali, per effetto della crisi di liquidità di tutto il mercato.
[4] Cfr. Marco Onado, Aspetti economici e tecnici del capitale proprio delle banche, quaderno n. 43 dell’Associazione per lo Sviluppo degli Studi di Banca e Borsa.