La successione di una forza politica al governo di un paese non è come lo scambio delle ballerine del Moulin Rouge, che sono tutte eguali. Se poi si tratta di ministri delle finanze, che delle ballerine non hanno nemmeno l’avvenenza, l’eguaglianza potrebbe essere solo nel peggio. Da qui l’auspicio: speriamo siano diversi! Ma la diversità non sempre garantisce un miglioramento. Stiamo a vedere. Perché, dopo che se n’è andato senza rimpianti il prof. Visco è venuto un altro prof., che, speriamo non porti pianti. Ma ciò che dà preoccupazione è la gran voglia di fare, di cambiare il mondo, di lasciare un segno nella storia, di tracciare un solco, forse, senza dirlo, di rovesciare l’Italia “come un calzino”. Dio ci salvi dagli stacanovisti della riforma. Lasciate stare le calze, già ci sono gli scalfari al singolare e al plurale.
Confesso un mio timore, che per prudenza tenevo nascosto: plaudo a chi va, ma temo chi viene con faccia da greco sorridente, perché come dice il famoso verso di Virgilio “timeo Danaos et dona ferentes (temo i Danai anche quando portano doni)” e anche se i danaos sono della Valtellina non cambia nulla e uso il plurale perché esiste addirittura un piccolo ma agguerrito esercito di “Tremonti’s boys”.
Giustifico le mie perplessità con riferimento a più elementi di prova, ma mi bastano due esempi di questi giorni: lo scudo fiscale e la clausola antielusiva generale.
Sul primo, ricordo le previsioni sul rientro dei capitali dall’estero, con toni tra il rimpatrio degli esiliati e il ritorno dei reduci di guerra. Centinaia di migliaia di miliardi di capitali con tanto di gettito fiscale al seguito (2/3 mila miliardi). Euforia già a gennaio e prima decade di febbraio. Sembrava cosa fatta, tra dichiarazioni di banchieri interessati e sparate di dati ministeriali. Anzi, tanto per incoraggiare gli indecisi, l’Uic aveva diramato a gennaio che in novembre erano rientrati 82 milioni di euro, stimolando il dubbio che, se si hanno dati così precisi, lo “scudo” è una specie di foglia di fico. Poi l’annuncio della proroga, giustificata con eufemismi poco credibili (agevolare i ritardatari, eccetera). Ma come? Uno si chiede: se l’operazione sta andando bene, che bisogno c’è di una proroga? Non solo, ma allo stesso tempo si sa di squadre di finanzieri sulla strada per Chiasso con tanto di macchina fotografica per prendere le targhe delle macchine, che varcano il confine con maggior frequenza, il tutto, ovviamente, con esclusione dei frontalieri (li distingueranno con una lettera scarlatta alla Nathaniel Hawthorne sul lunotto posteriore?) e con tanto di cartello che annuncia la presenza del fotografo, così, tanto per rispettare la frase liturgica dell’arresto nei telefim alla moda: “fermi tutti, siamo della Polizia”. Manca solo il nome in codice, tipo “operazione carne trita”, ma al ministero non hanno rinunciato all’eufemismo: “attività di controllo tecnologico del territorio”. Un uomo della strada, che non si fida più nemmeno del buon senso perché riteneva che il biglietto fosse di solo ritorno, si chiede come sia possibile cantar vittoria per il rientro, se poi si minaccia chi esce. Non ha insegnato nulla la pagliacciata dei vigili urbani, che pensano di sconfiggere la prostituzione fotografando gli utenti del sesso a pagamento sulle strade di periferia? Ci mancavano anche i fotografi degli esportatori delle ultime lirette in libera circolazione! Ma davvero il signor ministro, che viene da una terra al confine italo-svizzero, pensa che la fuga dei capitali si arresta come Luigi XVI a Varennes? Non ha capito che i capitali vanno e vengono non in funzione dei fotografi o di una minitassa al 2,5%, ma di un regime di libertà, che non basta strombazzare, ma bisogna invece garantire?
Sul secondo, leggo che Vittorio Emanuele Falsitta annuncia un emendamento al progetto di una “norma antielusiva generale, per non incorrere in enunciati che lascino zone di penombra generale”. Ma una norma generale o è vaga o non lo è. È la sua pretesa di essere “generale”, che la rende improponibile e non suscettibile di illuminazione. Vorrei suggerire a quel parlamentare di FI di rileggersi la storia dell’aborto della clausola generale concepita nel 1988, nota come “articolo 31”, dall’allora ministro Formica e i cui embrioni in libertà si leggono nell’attuale art. 37bis DPR 600/1973, privo di una norma generale esplicita, che tanto avrebbe voluto imporre Visco, ma che comunque contiene quella “schifezza” (per dirla con Eduardo De Filippo) di principio metafisico delle “valide ragioni economiche”, che è già un grimaldello nelle mani della Finanza. Che cos’è una “norma generale antielusiva” se non il potere concesso all’amministrazione di ritenere “operazione elusiva quella che è definita tale dalla discrezionalità del Fisco”? Vogliamo forse evocare lo spirito illuminato di Giovanni Giolitti, secondo il cui insegnamento “le norme si applicano per gli avversari e si interpretano per gli amici”? Vuoi vedere che il liberalissimo parlamento di oggi riuscirà ad approvare una norma che l’illiberale parlamento del 1988 bocciò al duro socialista Formica?
Sembrano due casi slegati. Invece sono politicamente congiunti. Se i Tremonti’s boys pensano di far rientrare i capitali dall’estero annunciando nel contempo una norma antielusiva generale, vuol dire che non hanno capito che cos’è la borghesia italiana. Soprattutto non hanno capito che gli italiani non credono a nessuna promessa di libertà politica, poiché su quel fronte la storia insegna che sono sempre stati delusi e allora la libertà, senza fare inutili rivoluzioni francesi, se la costruiscono da soli con “fai da te”, che non è l’ottimo, ma è meglio del peggio.
Invece di tanti annunci su abbattimenti di tasse, incentivi alle imprese, aiuti alle famiglie e altre promesse enfatiche degne di Rodomonte, sarebbe bene far funzionare quello che c’è ed evitare di imitare tutti i ministri delle finanze precedenti, che a furia di riforme hanno ridotto l’Amministrazione finanziaria a un esercito da 8 settembre.
Come andrà a finire? Non finirà, perché in Italia, sempre per evocare De Filippo, “Gli esami non finiscono mai” e a farne le spese siamo sempre noi, dal 1 marzo ridotti al rango di euroitaliani.
Non ho mai voluto credere nella ideologia dello “stato minimo” alla Robert Nozick, ma la nostra storia ci costringe, nonostante la convinzione che lo “stato minimo” è solo un gradino più su dell’inaccettabile anarchia.

Articolo pubblicato su “ItaliaOggi” dell’1-3-2002