Ombra del socio “tiranno”

 

È ancora possibile la domanda se sia sopravvissuta la figura del socio “tiranno”? In astratto: sì! In concreto la risposta diventa difficile. È perciò necessaria una premessa.

 Premessa

Prima della riforma del diritto societario apportata dal D.Lgs. n. 6/2003 gruppi di società e socio unico e ultimamente anche azioni a “voto plurimo”, non erano istituti giuridici regolati dalla legge italiana; poi, il citato D,Lgs. e sue successive integrazioni, sulla spinta della elastica motivazione di adeguare le nostre norme a quelle europee, si è pensato di copiare istituti già in auge altrove con innesti domestici, che hanno finito per avvantaggiare gruppi societari stranieri calati da ogni dove a fare man bassa di imprese italiane, che pure avevano pluridecennale o secolare nobile anzianità. Non si può certo sostenere che la copia sia ben riuscita, in particolare sulle materie che interessano questa critica. Il legislatore delegato, nonostante la formale e sostanziale collaborazione di aulici e non sempre disinteressati giuristi, ha “innovato” il nostro sistema che, seppur bisognoso di aggiornamenti, non risulta però migliorato dalla novella. Il legislatore ne era consapevole e ha corredato le innovazioni con due determinazioni comuni: a) il rinvio della soluzione di alcuni trasparenti problemi alla giurisprudenza secondo la nota rinunciataria teoria “poi ci penserà il giudice” e b) la responsabilità degli operatori come deterrente, però fatto successivo agli atti riprovevoli compiuti.

In concreto bisogna però ricordare che il nostro sistema societario applicato alle soietà di capitali regge necessariamente sul sistema maggioritario, per cui “la maggioranza vince, perché i voti si contano e non si pesano”, salvo pagare il prezzo di eventuali abusi. Conseguentemente, non può essere esclusa a priori la possibilità che possano esistere situazioni in cui un socio, “avendone i numeri” possa dominare e costituirsi “organo volitivo” anche in via occulta e non si può escludere l’eventualità vietando in astratto e in assoluto la probabile esistenza di situazioni contrarie allo spirito delle norme, ma, inevitabilmente, perseguendo i casi patologici, che si presentassero a fatti accaduti e punibili.

 Risposta

 La figura del “socio tiranno” è nata in questo contesto negativo ed è stata riferita dalla dottrina a casi in cui un socio, non titolare dell’intero pacchetto, spesso non manifesto, gestisce o fa gestire la società uti singuli in spregio al principio fondamentale che l’impresa ha utilità sociale o, almeno, plurale con riguardo all’esistenza di altri partecipanti. In termini meno negativi, anche quando manchi lo sfruttamento a proprio personale vantaggio di una posizione dominante, si è denominato “socio sovrano” la  figura soggettiva che è un de residuo rispetto a una tirannia  egoistica.

Posto il tema del socio tiranno in questi termini e constatato che la sua manifestazione di volontà può essere  contrastata nei casi negativi solo a posteriori, si spiega la domanda iniziale se la figura del “socio tiranno” possa sussistere ancora nei nuovi innesti di socio unico, gruppi societari e azionista portatore di voti pliurimi, alla quale si deve rispondere, che continuano a esistere i casi diversi dai tre citati, per i quali il legislatore ha posto norme specifiche, sempre con rinvio a posteriori, assorbenti perché incentrate comunque sul principio della responsabilità, non senza rilevare, però, che nel caso dell’azionista con voti plurimi il diritto è ancora in formazione non avendo il recentemente novellato art. 2351 cod. civ. previsto espressamente incrementi di responsabilità per l’abuso di plurimità di voto, lasciato, eventualmente alla valutazione del giudice.

 La legittimazione, nel nostro ordinamento, del voto plurimo è avvenuta con l’aggiunta del comma 4 all’art. 2351 cod. civ. per un massimo di tre voti per ogni azione, purché lo preveda lo statuto e non sia in contrasto con leggi speciali. Il legislatore ha affermato che il voto plurimo possa valere: “anche per particolari argomenti o subordinato al verificarsi di particolari condizioni non meramente potestative”. La locuzione non è delle più felici dal punto di vista grammaticale, tale da chiamare in causa l’art. 12 delle Preleggi. L’esegesi corretta porta a collegare la congiunzione “anche” ai soli “particolari argomenti” senza attrarre la locuzione “subordinato al verificarsi di condizioni meramente potestative”, che resterebbe una condizione generale gravante su ogni manifestazione di voto plurimo. Se così è, e la congiunzione disgiuntiva “o” autorizza l’analisi grammaticale della formula, stabilire che una condizione sia o no meramente potestativa resta un problema di discrezionalità del giudice di merito.

 Considerazioni economico-sociali

 Il problema non è solo giuridico, ma anche economico-sociale. Il diritto societario è particolarmente importante nel coniugare i rapporti tra norme e caratteristiche delle strutture dominanti del nostro sistema economico produttivo. In altri termini: se la struttura caratteristica del tessuto economico-imprenditoriale dell’Italia è l’esistenza di piccole-medie imprese, ci si deve chiedere se la legittimazione di forme di tirannia, anche riconosciute come nel caso del voto plurimo, possa giovare all’afflusso di capitali di rischio di cui l’Italia ha estremo bisogno oppure allontani l’afflusso per il timore di non avere voce in capitolo nei momenti salienti della vita della società.

Se si constata che le poche grandi imprese private italiane sono state cedute a ex concorrenti stranieri o hanno scelto di trasferirsi all’estero, è lecito dubitare che la legittimazione del socio tiranno sia un vantaggio per l’Italia sul piano economico-sociale e sia utile a far crescere la dialettica fra soci, che, pur nel rispetto del principio maggioritario, alimenta il flusso dei capitali di rischio.

La subordinazione dell’adozione del voto plurimo alla condizione della previsione in statuto (“lo statuto può prevedere” dell’art. 2351, comma 4, cod. civ.) è un argine all’abuso solo apparente, perché una risicata maggioranza può trasformarsi in una permanente posizione tirannica. Sostenere la necessità di un adeguamento a forme straniere, se vera, è solo il riconoscimento di una perduta autonomia legislativa.