Nel solco di una tradizione consolidata, possiamo ipotizzare che Mosè abbia agito e scritto intorno al 1500 a.C. e che sia veramente l’autore del biblico libro della Genesi. Che sia tesi fondata o no non ha importanza, perché la Bibbia esiste, come esiste l’Iliade e come noi risaliamo da questa a Omero, possiamo ben risalire dalla Genesi a Mosè.

In questo libro noi leggiamo che Dio creò prima l’universo con dei fiat, ma quando volle creare l’uomo, lo generò impastando terra. Infatti Adamo significa essere “creato con terra”.  Questa lettura apre il dissidio tra i creazionisti, che sostengono la creazione dell’uomo e dell’universo ex nihilo, e gli evoluzionisti, che propendono, spesso con polemica contrapposizione, per una evoluzione lentissima e progressiva a partire da un momento iniziale, che potrebbe essere un Big Bang; però non riescono a spiegare che cosa esistesse prima e chi ha reso possibile quella deflagrazione iniziale da cui è sorto l’universo e, miliardi di anni dopo, l’uomo. Gli evoluzionisti non mi pare riescano a dimostrare di non essere in contraddizione con i primi due principi della Termodinamica. Al Cern di Ginevra si lavora alla ricerca del bosone di Higgs, non a caso detto anche il “bosone di Dio”, che dovrebbe essere una particella fondamentale per spiegare l’origine del Big Bang e forse anche il prima. Ma, in senso indiretto, questo è analogo a un principio di creazione, cioè è più creazionismo che evoluzionismo.

Poiché la Bibbia è anche un libro di metafore, di allegorie e di significati simbolici, possiamo interpretare che il Creatore, rinunciando al semplice fiat riguardo all’uomo, non volesse divertirsi o faticare a fare il Geppetto, ma che volesse trasmettere una testimonianza dell’unicità dell’uomo e della complessità del piteco più delle schiere angeliche, rispetto a tutto il resto dell’universo, testimonianza ben riuscita, considerando ciò che ha combinato l’uomo nei milioni di anni da che è comparso sulla scena del mondo o dei mondi. Quindi, possiamo prendere l’uomo della creazione come simbolo di complessità. Ma, in questa complessità è già racchiusa la problematicità dell’uomo, inizialmente solo in potenza e poi deflagrata con quella che si chiama la consumazione del “ peccato originale”.

 Nel libro biblico della Genesi, attribuito a Mosè, si leggono i versetti: 2,16: «Il Signore Dio diede questo comando all’uomo: “Tu potrai mangiare di tutti gli alberi, ma dell’albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché quando tu ne mangiassi, certamente moriresti». Ma, se ci fermiamo a questi, si ha un Dio che vieterebbe all’uomo, che ha creato a sua immagine e somiglianza, di sviluppare la conoscenza. La soluzione del dubbio si ha nel versetto della tentazione di Satana, che dice alla donna: «Non morirete affatto! Anzi, Dio sa che quando voi ne mangiaste, si aprirebbero i vostri occhio e diventereste come Dio...» ove si comprende che non è la conoscenza in sé che Dio vietò se al versetto 2.18 diede all’uomo il potere di dare il nome, cioè classificare, uccelli e bestie, il che implica una conoscenza biologica. Invece Dio condannò e condanna la pretesa che si strumentalizzi la conoscenza per la scalata a “potente come Dio”. Da qui il peccato originale, che non è peccato di conoscenza, ma peccato di orgoglio. A parte questa fondamentale precisazione, è bene considerare che Mosè era cresciuto in Egitto e scriveva in caratteri geroglifici triconcettuali. Dal testo originario vi fu una prima traduzione in caratteri fenici e solo più tardi in caratteri aramaico-caldei e successivamente in lingua ebraica, che, come è noto, è scritta senza le vocali, che sono lasciate al parlante con massima flessibilità fonico-espressiva, tanto più se l’impostazione è liturgica. San Girolamo ne operò la traduzione dall’ebraico al latino. Ma il significato originario di conoscenza del testo biblico dei tempi di Mosè sarà stato fedelmente riprodotto? Vero è che la “conoscenza” della Genesi è tradotta in latino con il termine “scientia”. Ma è traduzione corretta? Non è importante, se si considera che il peccato originale è di orgoglio e non di conoscenza, cioè della strumentalizzazione della conoscenza, che non è un sapere.

Si noti poi che la nostra conoscenza è comunque imperfetta, parziale e incespicante, ma esiste la speranza che nell’aldilà la conoscenza sarà perfetta, perché avrà varcato la porta della Redenzione. Si legga nella Prima Lettera di Paolo ai Corinzi (cap. 13, 9-12): «Quand’ero bambino, parlavo da bambino, pensavo da bambino, ragionavo da bambino. Ma, divenuto uomo, ciò che era da bambino l’ho abbandonato. Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; ma allora vedremo a faccia a faccia. Ora conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come anch’io sono conosciuto».

 Si può pensare che per Dio il peccato originale sia di per sé irredimibile senza un suo intervento. Infatti, Dio perdona, in un certo senso, il peccato di fratricidio di Caino, ma non perdona il peccato di orgoglio e superbia di Adamo: essere come Dio, il Creatore. Per questa colpa necessitava una volontà divina di natura sacrificale e perciò sarebbe stato necessario un intervento di un’altra persona divina, che, essendo il peccatore di natura umana, doveva rivestirsi dei panni umani, pur essendo Dio stesso. Per questa emendatio cruenta, Dio assume le vesti di Padre e manda il Figlio: Gesù Cristo.

Si pongono due domande:

a) perché lo fa? Perché Dio non ritenne logico abbandonare il suo “uomo di terra” a un perenne destino di condanna. Lo fa, per misericordia, che non è giustizia secondo un  concetto umano, ma libera manifestazione di bontà. In altre parole: Dio ha pietà della sua creatura prediletta e per misericordia vuole riscattarla dal male che ha liberamente compiuto;

b) perché lo fa nell’era di Augusto e non in altro momento? Perché nella storia dell’uomo l’impero di Roma è il primo, il più vasto, e Roma è diventata caput mundi. Per Dio quello è il momento propizio, il kairos.

 Ora, a ben riflettere, la colpa di Adamo è il voler essere come Dio, il che significa, in altri termini: intendimento e volontà dell’uomo di voler conoscere l’atto della creazione, limite che gli è invalicabile, cioè in linguaggio fiabesco: è Pinocchio che pretende di essere come e forse più di Geppetto. Penso che Collodi abbia tratto dalla Creazione l’ispirazione per quella che appare una fiaba, ma è una interprentazione dell’atto che fa nascere il biblico “uomo di terra”. Ci chiediamo: l’uomo ha compiuto quel peccato una sola volta? Fu il primo e unico nella storia dell’umanità? La risposta è no, purtroppo! L’uomo continua, dopo Cristo, a consumare lo stesso peccato, quando viola i limiti della creazione. Il simbolo più potente è l’Ulisse del XXVI canto dell’Inferno dantesco, che paga di persona il suo voler andare off limits, ma, dopo di lui, quante volte l’uomo con lo stesso intento è andato a infrangere i limiti, ma, diversamente da Ulisse, facendone pagare il prezzo a tutta l’umanità? Quante scoperte scientifiche sono andate oltre i limiti? Che cos’è il tentativo del Cern di Ginevra di risalire a prima del Big Bang? Non è forse l’intento di risalire al momento della Creazione? È un atto di superbia analogo a quello consumato da Adam? Questa non è una domanda retorica: è solo un dubbio, che non intende colpevolizzare ogni serio tentativo di approfondire la conoscenza. Ma per quel peccato, se così fosse, non basterebbe un pentimento! Sarebbe necessario un altro atto sacrificale di Dio. Sennonché il Figlio di Dio è venuto una sola volta; il sacrificio cruento della vita è un atto, una volontà, unico. Cristo è risorto e sta per sempre nella gloria e può tornare solo nel giorno del trionfo alla fine del tempo.

 E allora? La Terra non è l’Eden, nel quale non opera la misericordia, perché se non c’è colpa non ce n’è bisogno. Ma la misericordia è Dio nella sua Trinità e Dio non abbandona il suo “uomo di terra” alla condanna di una colpa irredenta. Non potendo mandare ogni volta il Figlio a redimere quella colpa, che è l’aspetto diabolico che alberga nell’uomo, pur nella considerazione che il Cristo ha riscattato non solo il peccato passato, ma anche i futuri e quindi non c’è bisogno di un suo ritorno sacrificale prima di quello glorioso, Dio sposta continuamente in avanti nel tempo e per pura misericordia, il bersaglio del peccato. La scienza umana, nella sua estrema limitatezza rispetto a quella divina, altro non è che lo sforzo di interpretare questo continuo spostamento in avanti del bersaglio. Ma come può l’uomo scansare la colpa di superbia? Può farlo unicamente “da solo” ponendosi il problema dei limiti della scienza e considerando la limitatezza, la non unicità, la relatività e abbandonando l’orgoglio e la pretesa di conseguire ogni volta la verità, considerando che la scienza è interpretazione e non creazione, e mentre la creazione è un atto unico, l’interpretazione è un circolo ermeneutico che, nella migliore delle intenzioni, tenta di avvicinarsi alla verità senza mai raggiungerla. Dio non chiede all’uomo di rinunciare alla scienza, ma solo di accettare la sua propria limitatezza e di considerare che l’unicità della creazione sta nella logica che Dio con la creazione è legislatore e non potrebbe nemmeno creare se stesso, perché nella sua unicità non può duplicarsi. Questa è la grande intuizione del monoteismo: Dio è unico, perché, se si duplicasse, tornerebbe nello stesso tempo all’uno. Dio è l’uno assoluto, infrazionabile e induplicabile.

Sul problema, Platone e Feyerabend (La scienza in una società libera) non danno forse qualche utile spunto di riflessione?