Non voglio vada perduta una testimonianza molto significativa di rispetto della libertà umana da parte di Papa Wojtyla. Era l’anno tragico 1942 e don Karol, un prete di Cracovia, ricevette la visita di una famiglia cattolica che chiedeva il battesimo di un bambino ebreo affidato dai genitori deportati ad Auschwitz. Il prete rifiutò per rispetto di un futuro uomo che avrebbe potuto scegliere in libertà di essere ebreo e non cristiano. Altri non avrebbe persa l’occasione di aumentare le statistiche dei battezzati. Invece, in quella astensione c’è tutto un catechismo, l’interpretazione di un sacramento, un ecumenismo non di maniera e non populista, un rispetto della libertà dell’uomo, che esige la coscienza e la consapevolezza, motivi che quarant’anni dopo avrebbero caratterizzato un pontificato. Davanti a tanti viaggi che hanno riempito gli stadi più che le chiese, vien da pensare che il Papa consideri chiesa più ogni luogo in cui possano trovarsi uomini di buona fede, che edifici in cui si sparge incenso, come se i muri gli vadano stretti. Ma, forse, la verità è più profonda. Ha scritto il filosofo tedesco Theodor Adorno in “Dialettica negativa” (pag. 331): ” Tutta la cultura dopo Auschwitz, compresa la critica urgente ad essa, è spazzatura “. Adorno contrappone alla assoluta negatività della morte di Auschwitz la negatività del suo pensiero marxiano-consolatorio, forse perché, mentre l’orrore di Auschwitz si consumava, lui stava negli Stati Uniti; invece, il prete Wojtyla stava a pochi chilometri del luogo dell’olocausto e ciononostante lo animava la speranza di una mondo migliore e di un futuro anche per un povero bambino ebreo. Il mondo di oggi, che non si sa di quanto sia migliore, si sta dimenticando di Auschwitz, il Papa no, perché ne ha respirato l’aria densa di morte ma nel disegno della Fede e della Speranza. Non è chiaro se cristiani ed ebrei del Duemila lo abbiano capito.