NAZIONE ed ECONOMIA

 

“Il Sole-24 ORE” del 29 gennaio 2006, pubblica a pag. 39, un brano dell’Introduzione di Emilio Gentile al suo libro La Grande Italia. Il mito della nazione nel XX secolo, edito da Laterza. Gentile è uno storico delle idee con particolare predilezione per quelle che riguardano i pensatori italiani e relative al concetto di Patria. Quindi, non è un economista, né intende esserlo, ma agli economisti può fornire stimoli. A me, per esempio, l’idea di nazione ha già suggerito un articolo di fondo su ItaliaOggi del 1996, il cui titolo: La nazione Italia esiste nonostante cinquant’anni di picconate, è già sintesi significativa del mio pensiero. Riporto di seguito quell’articolo, a mio avviso ancora attuale.

 

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La nazione Italia esiste nonostante cinquant’anni di picconate

Pubblicato in “ItaliaOggi”, 19 novembre 1996

 

Un giornalista sanguigno e intuitivo ha scritto in questi giorni che l’attuale regime, in persona dell’on. Prodi, è riuscito a dividere l’Italia più di quanto abbia fatto il collega di stipendi parlamentari on. Bossi [1]. Ritengo opposte le intenzioni dei due: ieri, l’ulceroso padano, intendendo spaccare la geografia del paese, lo rese più unito; oggi, il giocondo emiliano, in nome di una ipocrita solidarietà, lo ha lacerato nella sua essenza di nazione. Ma questa spaccatura è reale? Per sciogliere il dubbio, che dovrebbe angosciare ben più delle turbe fiscali delle dive televisive [2], pongo, prima, tre domande provocatorie:

· che cos’è nazione?

· è mai esistita una nazione italiana?

· la nazione è importante per l’economia?

Alla prima, costituzionalisti con senso della realtà riponderebbero che nazione è « … l’ideologia dello Stato burocratico accentrato » [3], regalando così a Bossi giustificazioni per le sue tesi separatiste. Senza cedere a una pericolosa “mistica della nazione” [4], direi che nazione è certezza che tanti altri con noi si commuovono leggendo Dante, il cui il messaggio, anche se universale, ci colpisce più direttamente di qualsiasi herr Müller o mr. Smith, che pur conoscano la nostra lingua, perché solo a noi è riservato l’ineffabile. Questo è idem sentire [5] Ma la definizione dei giuristi non può essere banalizzata da sentimentalismi culturali. Se è vera, è tragica! Le tre parole: ideologia, burocratico e accentrato sono colpi di maglio, che ci schiacciano con tutta la loro negatività, perché annullano l’individuo inteso come persona e lo riducono a cifra. Sarebbe come dire che sono italiani tutti quegli individui viventi, che abbiano la lettera “I” nel codice fiscale. Sarebbe peggio della “mistica della nazione”, madre di tutti i nazionalismi e bandiera di tutte le guerre; così, prima di buttarne il concetto, voglio illudermi che “nazione” sia quell’ethos, che ho prima immaginato e che sia idea (non ideologia) che genera lo stato e non lo stato generatore della nazione, come riteneva, seppur con altissimo senso morale, Giovanni Gentile [6]; perché uno stato, che si autolegittimi con la finalità di creare la nazione, può aprirsi a qualsiasi arbitrio.

La seconda domanda è ancora più provocatoria e apparentemente paradossale, perché, già il porla, implica il dubbio che una nazione italiana possa non essere mai esistita. Per lo storico Gioacchino Volpe, la nostra nazione è nata nel medioevo [7], quindi ben prima dello stato sabaudo. Molte valide argomentazioni possono essere portate a sostegno della tesi; anche il convincimento che l’Italia dei comuni inventò la borghesia, che generò la nazione [8]. Se ciò non fosse sufficiente e si astraesse dalle date, basterebbe visitare l’ossario di Redipuglia e contare i Turiddu sepolti vicino ai Battista per mandare all’inferno gli sproloqui bossiani e le omelie scalfariane. Quindi, la nazione Italia esiste, nonostante sessant’anni di picconate.

Anche alla terza domanda si deve dare una risposta positiva. Senza nazione non esiste economia, nonostante il dilagare delle multinazionali e l’internazionalizzazione della produzione e della finanza: anzi, proprio per questo. Bastano pochi esempi: il successo dell’economia giapponese si spiega solo con un senso profondo della nazione; l’esito positivo della riunificazione delle due Germanie è l’effetto di una causa politica e culturale, che si può riassumere nel concetto di “nazione tedesca”, sentita e interpretata dal cancelliere Kohl, e si potrebbe continuare. La nazione è una forza propulsiva molto importante per una economia. Per capirlo basti pensare al concetto di “distretto industriale” e allargarne la scala. Ma la nazione non è solo un alimento quotidiano. In presenza di eventi e sacrifici straordinari, quando le forze vitali di un popolo debbono essere chiamate a raccolta per creare una forza propulsiva, omogenea e vincente, lo stato diventa, al meglio, il solo strumento organizzativo, ma è la nazione che costituisce il motore e il carburante.

I responsabili della politica italiana hanno posto Maastricht come traguardo, obiettivo almeno straordinario, per le condizioni drammatiche della nostra finanza pubblica. La macchina dello stato, che dovrebbe essere l’organizzazione della difficile operazione, è grippata. Un governo fatto da politici veri avrebbe subito capito di dover far leva sulla “nazione”, imitando il riunificatore Kohl, che, senza essere un genio, ha la consapevolezza di contare sulla sua nazione, come ha illustrato Pierluigi Magnaschi nell’editoriale dell’1 novembre [9]. Invece che ha fatto il genio di Scandiano? [10] Con l’aiuto del suo ministro delle finanze ha confezionato una famigerata legge finanziaria che sta spaccando l’Italia, o quel che è rimasto dopo l’opera demolitoria di rapine democratiche in nome di una nazione, in cui i politici degli ultimi decenni non hanno mai creduto, perché, pur animati solo da obiettivi materiali, non hanno capito il suo legame con l’economia. Per degli interpreti del processo distributivo come un’applicazione del manuale Cencelli, quella ignoranza è molto grave. Invece: non c’è nazione senza borghesia e non c’è economia senza nazione. Anche l’Europa, se vorrà essere “una economia” dovrà essere nazione, se no Maastricht non vale per noi come per nessun altro popolo europeo pur decorato di patacche al valor monetario.

Non so se andremo in Europa. So che la nazione non è più, o è molto meno di prima. Anche per questo l’economia italiana futura sarà in crisi, a meno che a tenerla insieme sia il gaudio di un tasso zero di inflazione, come piace ai monetaristi, o di un interesse sotto zero, come piace agli industriali. Il resto non conta, nemmeno le tasse, perché, tanto, quelle le paga il contribuente, che è una razza diversa dal cittadino, come pensano molti politici italiani, convinti che la borghesia sia estinta e con essa la nazione. Spero si sbaglino.

 

Pietro Bonazza


[1] V. Feltri, Romano, anzi Romeno, in “il Giornale”, 17.11.1996, pag. 1.

[2] penso a Mara Venier, con i suoi problemi di false fatturazioni!

[3] M. Albertini, voce “nazione” in “Grande dizionario ecniclopedito”, UTET.

[4] P. Salin, La tirannia fiscale”, Macerata, 1996, pag. 192.

[5] già citato in P. Bonazza, Non si crea occupazione demonizzando le imprese, in “ItaliaOggi”, 7.2.95, Dizionario latino-italiano CALONGHI, pag. 2507: unum atque idem sentire = essere perfettamente del medesimo avviso, Cic

[6] L. Di Stefano, Giovanni Gentile e l’attualismo, Palermo, 1981, pag. 15.

[7] probabilmente non è d’accordo F. Chabod, L’idea di nazione, Laterza, 1995. Cita il Volpe: M. Veneziani in Non si divide una nazione a causa del fisco, “ItaliaOggi” 16.9.96, pag. 1.

[8] attenzione: la tesi è solo mia e non ho trovato una fonte. è a rischio! Quando avrò tempo farò una ricerca.

[9] P. Magnaschi, Kohl, il signor Euro che sta costruendo l’Europa, in “ItaliaOggi”, 1.11.1996, pag. 1

[10] G. Perna, Romano, pedale dello Scudocrociato, in “il Giornale”, 6.2.1995, pag. 1.