ASSOCIAZIONE DOTTORI COMMERCIALISTI MILANO
COMMISSIONE NORME DI COMPORTAMENTO E DI COMUNE INTERPRETAZIONE IN MATERIA TRIBUTARIA
NORMA DI COMPORTAMENTO N. 147
NOZIONE DI “”VALIDE RAGIONI ECONOMICHE””

(Massima)

La nozione di valide ragioni economiche di cui all’art. 37–bis del D.P.R. 29 settembre 1973 n. 600 (disposizioni antielusive) deve essere coerente con le statuizioni espresse dalla Corte di Giustizia C.E. .
Con riferimento a dette valide ragioni economiche, il criterio del vantaggio economico direttamente perseguito nella gestione delle società interessate all’operazione (c.d. “”business purpose””) non può essere usato come unico criterio predeterminato per escludere automaticamente ragioni economiche fondate su presupposti differenti.

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Motivazione

L’esistenza di valide ragioni economiche impedisce all’Amministrazione Finanziaria di disconoscere i vantaggi fiscali ottenuti mediante le operazioni societarie straordinarie previste dall’art. 37–bis, D.P.R. n. 600/1973, ancorché si verifichino entrambe le seguenti circostanze:
a) l’esecuzione delle predette operazioni societarie sia seguita da altri atti, fatti e negozi con cui vengono sostanzialmente aggirati obblighi o divieti previsti dalla legge;
b) tali operazioni societarie siano dirette a conseguire rimborsi o riduzioni di imposta che risulterebbero indebiti senza l’aggiramento di cui al punto precedente.
L’approfondimento della conoscenza dei contenuti e della portata della nozione di valide ragioni economiche risulta oggettivamente ostacolata dalla scarsità di fonti normative di diritto nazionale e di giurisprudenza in materia, e richiede quindi di svolgere le seguenti premesse:

Prima premessa: APPLICAZIONE DEL DIRITTO COMUNITARIO

Alcune connotazioni della nozione di valide ragioni economiche sono riscontrabili nel diritto comunitario e, in particolare, nella sentenza interpretativa della Corte di giustizia C.E. del 17 luglio 1997, n. C-28/95, nota anche come sentenza “”Leur Bloem”” (appresso chiamata, per brevità, sentenza C.G.).
Con riferimento alla gerarchia delle fonti del diritto, vale preliminarmente ricordare che le statuizioni della Corte di giustizia contenute nelle sentenze interpretative ex art. 234 Trattato C.E. (già art. 177) prevalgono su ogni contraria disposizione di legge interna e, a maggior ragione, su ogni contrastante giurisprudenza o prassi nazionali.
Questa prevalenza si manifesta immediatamente in tutti i casi (come quello in esame) di applicabilità del diritto comunitario all’interno di uno Stato membro
Secondo la Corte di giustizia, la nozione comunitaria di valide ragioni economiche è direttamente applicabile all’interno di uno Stato membro allorché quest’ultimo abbia conformato la propria normativa nazionale alle disposizioni proprie del diritto comunitario.
Tale situazione si è puntualmente verificata nello Stato italiano essendo stata, la nozione di valide ragioni economiche, introdotta nell’ordinamento nazionale per regolare, in un unico modo:
– sia gli effetti elusivi delle operazioni societarie transnazionali in ambito comunitario, previste dalla direttiva n° 90/434/CEE recepita con D. Lgs 30 dicembre 1992 n. 544;
– sia gli effetti elusivi derivanti dalle analoghe operazioni societarie interne, nonché da altre operazioni pure previste nell’art. 37-bis del D.P.R. n. 600/1973.
Risulta significativo, al riguardo, l’esplicito intento del legislatore espresso nella legge 23 dicembre 1996 n. 662, art. 3, comma 161.
La consapevolezza dell’efficacia diretta della citata sentenza C.G. risulta peraltro riconosciuta dallo stesso Ministero delle finanze con il richiamo fattone al punto 2 della risoluzione n. 106/E del 7 luglio 2000.
Seconda premessa: CONNOTAZIONI DELLE “”VALIDE RAGIONI ECONOMICHE””
La sentenza C.G., pur essendo tutt’altro che esaustiva sul tema in esame, detta però precetti inderogabili nell’interpretazione adeguatrice della norma italiana in commento.
Ai fini che interessano, giova qui riassumere succintamente le seguenti esplicitazioni della Corte di giustizia: I) per accertare se l’operazione presa in considerazione abbia un obiettivo elusivo le autorità nazionali non possono limitarsi ad applicare criteri predeterminati (punto 41 della sentenza C.G.);
II) l’emanazione di una norma e, a maggior ragione, una prassi che escluda automaticamente talune categorie di operazioni dal trattamento agevolato (nel nostro caso dai “vantaggi tributari””) sulla base di criteri predeterminati, eccederebbe quanto necessario per evitare elusioni (punto b del dispositivo della sentenza C.G.);
III) la statuizione che precede è coerente con il principio di proporzionalità delle misure adottabili rispetto alla potenzialità elusiva delle operazioni (punti 43 e 44 della sentenza C.G.);
IV) anche un’operazione mirante a configurare una determinata struttura (o ristrutturazione giuridica) per un periodo limitato, e quindi non in maniera duratura, può perseguire egualmente valide ragioni economiche anche se ciò può costituire un semplice indizio di elusione (punto 42 della sentenza C.G.);
V) invece, una finalità dell’operazione che sia esclusivamente fiscale (risparmio di imposta o rimborso) non può costituire valida ragione economica (punto 47 della sentenza C.G.).

DIVIETO DI ESCLUSIVITA’ DEL CRITERIO DEL C.D. “”BUSINESS PURPOSE””

Le riassunte statuizioni della Corte di giustizia costringono a svincolare ogni apprezzamento di validità delle ragioni economiche da criteri aprioristici, perché questi rivestono il vietato carattere della predeterminazione, e quindi della limitazione, attesa la loro incompatibilità con i descritti precetti comunitari.
Questa incompatibilità investe, fra gli altri, anche il criterio del c.d. “”business purpose””, sostenuto in passato dal SECIT e da una parte della dottrina, allorché esso viene assunto come strumento discriminante per l’individuazione delle valide ragioni economiche escludendo così, aprioristicamente, la validità di ogni altra ragione economica.
Un primo motivo di incompatibilità di questo criterio discriminante sta nella pretesa che l’interesse all’operazione societaria debba sorgere direttamente ed esclusivamente in seno alla società che la esegue escludendo di conseguenza ogni altro interesse della stessa società ancorché originato, anche indirettamente, da situazioni e circostanze esterne.
Un secondo motivo di incompatibilità di questo criterio poggia anche sull’altro presupposto di esclusivo vantaggio economico diretto per la società interessata il quale finisce, anch’esso, per costituire presupposto aprioristico discriminante e come tale ritenuto illecito.
Tale presupposto costringerebbe infatti a negare validità a tutte le ragioni economiche dirette, non già a perseguire vantaggi, bensì a limitare o contenere fenomeni economici regressivi e rischi d’impresa i quali costituiscono anch’essi ragioni economiche di ovvia validità.
Il carattere della validità può dunque essere riconosciuto anche a ragioni economiche le quali:
– seppure originate da situazioni o problematiche esterne, finiscono per determinare un sensibile interesse della società alla loro sistemazione o soluzione;
– a prescindere dai vantaggi economici, mirino a limitare o contenere regressioni reddituali, patrimoniali o finanziarie, nonché rischi di impresa.

CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE

 

Il riconoscimento di una valida ragione economica sottesa ad una o più operazioni determina già di per sé un’autonoma opponibilità delle stesse all’Amministrazione finanziaria, che rende ultronea e fuorviante ogni eventuale ricerca di connessioni a vicende successive.
Né potrebbe sostenersi, come già avvenuto talvolta in passato, che ragioni di cautela fiscale possano giustificare un disconoscimento di validità alle ragioni economiche non predeterminate in quanto suscettibili di favorire espedienti e simulazioni in via generale. Un simile disconoscimento risulterebbe infatti vietato dal ricordato principio di proporzionalità delle misure adottabili, poiché eccederebbe quanto necessario per non pregiudicare l’interpretazione uniforme della nozione di valide ragioni economiche, la quale non consente di escludere aprioristicamente alcuna causa di tali ragioni.
E’ tuttavia possibile che eventuali operazioni successive, anche in seno alla compagine sociale, appaiano non ricollegabili alle valide ragioni economiche iniziali tanto da rendere ipotizzabile, sia pure su semplice base indiziaria, una riqualificazione delle operazioni realizzate in altre fattispecie considerate eluse. In casi del genere deve ritenersi comunque sufficiente:
– dimostrare il nesso di correlazione delle successive operazioni con il dichiarato intento iniziale, sorretto da valide ragioni economiche, ancora in via di realizzazione;
– ovvero, dimostrare l’esistenza di un’autonoma e/o sopravvenuta ragione economica che, pur essendo del tutto svincolata dall’intento iniziale, impedisca comunque la riqualificazione delle operazioni attuate. Anche in questo caso la nuova ragione economica potrà essere dimostrata al di fuori di qualsiasi schema preordinato, giacché questo costituirebbe una limitazione vietata dalla Corte di Giustizia.

 

ALLEGATO: APPENDICE ESEMPLIFICATIVA. – Casi di valide ragioni economiche

a) Dissidio fra soci
Attese le considerazioni esposte nella Norma di comportamento, occorre riconoscere l’esistenza di un sicuro interesse della società (valida ragione economica) a limitare o contenere gli effetti dannosi di un deterioramento dei rapporti fra soci quando questo sia già, o stia per diventare, così grave da influire significativamente sulla gestione dell’impresa sociale, condizionandone i presupposti di efficienza e di economicità.
Situazioni del genere possono persino comportare punte estreme di antieconomicità dell’impresa, quando il conflitto fra soci determini un’inattività dell’assemblea tale da costituire causa di scioglimento della società a’ sensi dell’art. 2448, punto 3, Cod. Civ..
In tali casi è palese l’interesse della società alla continuità gestionale, seppure frazionata in capo a singoli soci o gruppi di soci.
Uno strumento idoneo potrebbe essere quello della scissione, attuabile con quella delle diverse forme che risulti più adeguata alla circostanza specifica (proporzionale, non proporzionale, con società beneficiarie neocostituite, ecc…).
Inoltre, potrebbe rispondere all’originario intento economico della continuità imprenditoriale della società, soddisfare l’eventuale esigenza di ulteriore apporto di nuova imprenditorialità attraverso un successivo ingresso, in taluna delle società beneficiarie, di nuovi soci che condividano la linea di azione di quelli preesistenti.
b) Ricambio generazionale
Altre situazioni di interesse della società, di origine indiretta, si possono verificare in fase di ricambio generazionale alla guida dell’impresa sociale o di taluni rami d’azienda.
Nelle aziende medio-piccole questo ricambio generazionale può rivestire talvolta carattere di urgenza, allorché occorra – addirittura nel breve periodo – sostituire l’apporto di imprenditorialità già esistente, nei casi ad esempio di malattia o morte del soggetto economico dell’impresa.
Nei casi di invecchiamento di quest’ultimo, invece, si pongono egualmente seri problemi di integrazione di imprenditorialità giovanile, risolvibili mediante la devoluzione di maggiori responsabilità e di maggiori gratificazioni a soci-amministratori già esistenti (spesso parenti) accompagnata talvolta dalla creazione di condizioni di maggior richiamo per altri nuovi soci.
In entrambi i casi prospettati, di sostituzione rapida o graduale di imprenditorialità, l’interesse di una società al ricambio generazionale può essere strettamente legato alla necessità di conferire alla gestione operativa maggiore dinamicità e innovazione, nonché una rappresentanza professionalmente più avanzata attuata da amministratori più inclini a fronteggiare i sempre maggiori rischi di impresa.
La necessità (ragione economica) di riconoscere maggiori gratificazioni alla nuova imprenditorialità, unitamente a quella di limitare i possibili rischi di una minore esperienza o di un’inadeguata capacità gestionale, potrebbe ben giustificare l’attuazione di una scissione societaria c.d. non proporzionale con la quale vengano attribuite, ai più giovani imprenditori, maggiori partecipazioni nella società beneficiaria con attività più a rischio, in corrispondenza ad una rispettiva riduzione partecipativa nella residua società con minor rischio di impresa (attività tradizionale, immobiliare, ecc…).

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Le stesse valide ragioni economiche sopra menzionate non potrebbero venir meno anche nel caso di scissione c.d. proporzionale, seguita da uno o più riassestamenti di partecipazioni (cessioni reciproche fra soci o a chi per essi) volti a raggiungere, solo in un secondo momento, lo stesso risultato direttamente raggiunto nella prima ipotesi di scissione non proporzionale.
Infatti tale seconda modalità, tesa allo stesso risultato, troverebbe valida giustificazione:
– nel risparmio di spesa non essendo prescritta, in quel caso, la relazione degli esperti altrimenti obbligatoria a’ sensi dell’art. 2504–novies, comma 3, Cod. Civ.;
– nella prudente strategia di graduare nel tempo il maggior peso partecipativo della nuova imprenditorialità giovanile in corrispondenza con l’assolvimento dei nuovi compiti, verificabile solo successivamente alla prima operazione di scissione proporzionale.
Infine la stessa ragione economica iniziale potrebbe richiedere anche l’ingresso (coevo o successivo) di altra nuova imprenditorialità utile a potenziare quella già esistente, più facilmente attraibile se resa, anch’essa, intestataria di partecipazioni sociali.