Ogni forza politica di governo, che perde le elezioni e manca il rinnovo, lascia sempre in eredità armadi pieni di scheletri. Chi perde lo fa, chi vince lo sa. È nelle regole del gioco! Gli scettici per radicata incredulità e gli esperti per sapienza professionale lo sanno anche prima delle elezioni e, soprattutto, sanno quel che sta negli armadi, anche se nessuno spalancherà le ante. In questi giorni si polemizza su un presunto buco di 34 miliardi nei conti pubblici. Presto ne avremo conferma o smentita. Se il dato sarà vero, risulteranno improbabili le affermazioni di Antonio Marzano rilasciate ai primi di giugno e volte a tranquillizzare i contribuenti: non ci sarà una manovra correttiva. L’allora ministro in pectore non potrà nemmeno giustificarsi che in quei giorni si parlava di 10 mila e non oltre 30 mila miliardi, perché stando alla stampa, dichiarando: «…può anche essere superiore ai 10 mila miliardi », lo aveva già messo in conto. A parte le prove di loquacità, in cui si stanno esercitando i nuovi ministri, in dura gara con il neo premier, si deve rilevare che il ragioniere generale dello Stato Monorchio confermava negli stessi giorni il buco di -10 e noi sappiamo che, come Bruto, «…Monorchio è un uomo d’onore », che meglio di chiunque altro in Italia, economisti compresi, dovrebbe conoscere i conti pubblici in ogni recondita piega. Se il buco sarà di 30 mila, si noti: da aggiungere ai 19.500 programmati dal governo Amato, che cosa chiederemo a Monorchio, che si occupa di bilancio statale da una vita? E a Marzano, che è venuto da pochi giorni? E a Visco e Amato, che hanno lasciato la sedia ancora calda? E a Giarda, sottratto per anni alla cattedra dell’Università Cattolica, per illuminare con la sua nota sapienza economica i pasticci contabili della sinistra? Pessimisti come siamo, ipotizziamo che il buco sia di oltre 30 mila miliardi e chiediamoci, saputo che Bruxelles giustamente non fa sconti, con che cosa ripareremo il buco? Delle due l’una: o si aumentano le entrate con ricorso alla pressione fiscale, o si riducono le spese, cioè la via più improbabile, perché è noto che la spesa pubblica è naturalmente rigida, essendo determinata in buona parte da spese disposte per legge e per eliminare una legge ci vuole un’altra legge e frequentemente non basta, perché indietro non si può tornare. La sinistra al governo, prevedendo la sconfitta, aveva già fatto il “babbo natale” anticipato ai propri protetti e portaborse con assunzioni, incrementi di stipendio, promozioni e beneficiate varie. I vecchi tributaristi e gli storici delle finanze ricorderanno che dopo la seconda guerra mondiale venne istituita un’imposta speciale denominata MUG (Maggiori Utili di Guerra), destinata a colpire chi si era avvantaggiato di una situazione eccezionale. Una specie di giustizialismo ante litteram. Il contenzioso durò più di trent’anni. Non potremmo, nemmeno per provocazione o umorismo, pensare a soluzioni di quel tipo, e lo facciamo solo per tenere in allenamento la memoria. Però il problema rimane e come già dicemmo che le ariose promesse del neo ministro Visco di una prossima riduzione delle tasse si sarebbero tradotte in aumento, come in effetti avvenne, così oggi ripetiamo che le affermazioni di Marzano non sono credibili e che una manovra fiscale immediata inevitabilmente si imporrà e non potrà consistere in una riduzione della spesa e, quindi, delle tasse. È inutile fare promesse, il cui mantenimento deve fare i conti con i sindacati, che usano la piazza anziché il Parlamento, perché buona parte del nostro popolo non è d’Italia, ma di Seattle. Però, un rimedio c’è: si potrà pur sempre interpellare l’ex primate Giuliano Amato, un superesperto in sofisticate esternazioni, che meritò come non mai il titolo di “dottor Sottile”, quando il 13.9.1992, costretto a svalutare la lira e uscire dallo Sme, dichiarò che nello scontro pugilistico di quei giorni non noi eravamo andati al tappeto, ma gli altri erano rimasti in piedi. Il “Sottile” potrebbe dire che, se il buco è di 30 mila, gli dovremmo essere grati, perché costringerà il Berlusconi, già suo sodale nel salotto di Craxi, a tapparlo accelerando le privatizzazioni, vendendo, per fare cassa, Enel, Eni e magari il Colosseo, così promuovendo in Italia un completo liberismo, come ha voluto la sinistra negli ultimi cinque anni. Basta sostituire il proverbio “un male non viene mai solo” con l’altro “non ogni male viene per nuocere” e tutto è risolto! O no? Dalle sue dichiarazioni amatoriali, si capisce perché nelle ultime elezioni le sinistre gli hanno preferito Rutelli, il che è tutto dire. Non avevamo bisogno di altri esempi, però, quel che per molti era un grande statista, il 14 giugno, confermandosi uomo di idee pallide, ha dichiarato da Goteborg di “non avere del buco la più pallida idea”, facendo finta di ignorare che già sei mesi prima delle elezioni di maggio, da più parti autorevoli (Banca d’Italia, Ue, ecc.) venivano avvertimenti su un buco nei conti, e, non pago, avrebbe aggiunto, con perfida ingenuità, di essere curioso di vedere come il nuovo governo tapperà il buco, se aumentando le tasse o tagliando le spese. Le affermazioni di Amato sono un classico del suo repertorio: io faccio il buco da sinistra e poi tu lo tappi da destra. Ma il buco dei conti pubblici non riguarda: né la destra, né la sinistra. Purtroppo riguarda il popolo italiano, che esiste solo come metafora nella nostra costituzione, non per i politici. Contro le nostre nere previsioni, aspettiamo con ansia che il buco sia solo di 10, perché un bilancio con un ammanco da 30 mila miliardi (oltre ai 19.500 già previsti), non è un bilancio con un buco, ma un buco con un bilancio intorno. (Pubblicato in “ItaliaOggi”, 27 giugno 2001, pag. 1)