I politici italiani di destra privilegiano riferimenti dinamici: tipo lega, alleanza, libertà, forza ecc.; quelli di sinistra, nel tentativo di moltiplicare le loro formazioni preelettorali, ricorrono alla botanica e ai valori, moltiplicando anche fondazioni e associazioni. Trascuriamo il “centro” che è un po’ come l’appellativo “sig.”; vale per tutti e, quindi, non serve a distinguere nessuno. Vuoi mettere un “Sig. dott.” o, meglio, un “Sig. prof.”, rispetto al solo “Sig.”? È giusto, perché in Italia, i titoli accademici hanno valore legale ed è praticata ancora l’idea di Francesco Bacone che “il sapere è potere”. Sarà anche, ma un sapere senza i soldi non ti fa andare molto lontano. E allora ecco che anche uomini dotati di vasto sapere, come il senatore del Mugello, abbisognano di fondi per le spese elettorali, perché anche in un seggio sicuro puoi mugghiare quanto vuoi, ma, ormai anche lì, dove un tempo dominavano gli armenti (da cui forse l’origine toponomastica) e ora anche i pastori sanno leggere e scrivere, non vinci le elezioni se non distribuisci al popolo un po’ di penne biro. Si è letto in questi giorni che Roberto Arnoldi, ex tesoriere del Centro dei valori ed ex sindaco democristiano di Curno nella bergamasca, ha citato in giudizio il senatore Di Pietro per la mancata restituzione di 200 milioni, che, a suo dire, non è stata una erogazione, ma un prestito. La faccenda pare assai complicata sul piano giuridico, perché è difficile immaginare che vi sia stato all’origine un regolare contratto a sensi dell’art. 1813 cod. civ. Infatti, se c’è un “pezzo di carta” idoneo, non c’è bisogno di una citazione, perché nel nostro ordinamento si ricorre al più rapido processo monitorio. Si può essere certi che Di Pietro vincerà la causa. A me non basterebbe sapere che il senatore chiuderà la partita a suo favore, perché mi piacerebbe che l’Arnoldi fosse, di contro, condannato, non perché abbia ragione o torto, che son “cose loro”, ma “P.Q.M. non legge i giornali o se li legge salta di pie’ pari la cronaca giudiziaria”. Ma, forse, all’Arnoldi un’attenuante per la sua distrazione di lettore di gazzette va riconosciuta, perché conosce bene il Senatore, con cui ha almeno un comune denominatore: il bestiame e, quindi, non avverte la necessità di leggere le cronache. Si pensi che Di Pietro è in grado di rappresentare tutta la storia dell’Italia vaccinara:

  • · risiede a Curno in provincia di Bergamo e tutti al Nord sanno che la parola bergamin significa mandriano e pastore di vacche;
  • · è di origine molisana, area storicamente a economia pastorizia;
  • · è eletto nel Mugello, che evoca il latino “mugire”;

e che… a un simbolo nazionale si chiedono in restituzione 200 milioni? Si vergogni signor Arnoldi, perché un bergamasco non deve smentire le radici comuni. Lei “non poteva non sapere”.