MONETA e CREDITO: fiabe antiche e fiabe moderne

 

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Sommario:
1. In principio era baratto   1
1.1 la nascita del credito   2
2. Il concetto di interesse   3
2.1. Il tempo   3
2.2. Il saggio di remunerazione   4
3. Rapporti tra moneta e credito   4
4. Il credito diventa moneta  8
5. Il credito come moneta speciale   8
6. Il credito e l’inserimento della banca  10
7. Le scatole cinesi dell’investment bank e la saturazione del credito   10
7.1. Le cause della crisi del 2008  11
7.11. I mutui subprime e l’ingegneria finanziaria  11
7.12. La speculazione   12
8. Conclusione   13

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1. In principio era baratto

In principio era baratto. Questo potrebbe essere l’incipit di una fiaba dell’economia nascente, che ancora non conosce la moneta. In effetti la moneta sta all’economia come il succhiotto sta all’infante, però con una differenza, che, quando il fantolino non ha a disposizione il succhiotto, in alternativa si succhia il dito. Può essere una metafora, ma l’uomo primitivo non può che scambiare la parte di un bene, di cui ha eccedenza o scarsa utilità, con altro bene di cui ha maggior bisogno in possesso di altro soggetto, che si trova in posizione speculare. In mancanza di una moneta, di un mercato e delle relative informazioni, esistono difficoltà nel trovare una controparte, ma alla fine, tendendo occhi e orecchi, l’operazione tra i due trova un esito. In alcuni casi si consuma un po’ di tempo, ma poi, scoccata la scintilla come in un arco voltaico, l’operazione si risolve in via immediata nel momento stesso dello scambio fisico dei beni. Difficilmente una parte consegna il proprio bene all’altra accontentandosi di una promessa futura, perché lo scambio è stimolato da bisogni immediati. Esistono due problemi: a) l’incontro tra i due scambisti, che, se esiste un luogo predeterminato, per esempio ai piedi della vecchia quercia, ognuno vi si reca con la propria merce da offrire e lì si pratica più facilmente lo scambio; b) la limitazione, per la mancanza di prezzi immediatamente noti; infatti, lo scambio può avvenire a condizioni o rapporti differenti tra operatori diversi purché si tratti di beni merceologicamente e quantitativamente eguali. Chiaro che, se ognuno dovesse aspettare di conoscere il comportamento di un’altra coppia non si concluderebbe alcun scambio e ogni aspirante scambista se ne tornerebbe a casa la sera con la merce portata il mattino. È più facile che valga la legge naturale del “Ognuno per sé e Dio per tutti”, salvo poi rammaricarsi per la fretta, applicando il detto ancor oggi diffuso tra gli operatori finanziari dei titoli, specie le azioni: “Vendi e poi pentiti”.
È evidente che questi comportamenti instaurano un “gioco a somma zero”, un po’ come il mercato dei calciatori: “ti do un cane di razza in cambio di due gatti di razza”, almeno nella psicologia degli scambisti, anche se ognuno si autoconvince di aver fatto un buon affare, il che potrebbe significare che è convinto che un affare meno buono lo abbia fatto la controparte. Ma l’economia è sì psicologia, ma non solo! Per l’economia generale il gioco è comunque in pareggio, più o meno come nel furto: il ladro si arricchisce della refurtiva il cui valore è pari alla perdita del derubato. Non c’è, come si usa dire oggi: un valore aggiunto, almeno in via immediata. Ovvio che se il ladro sapesse impiegare la refurtiva meglio del derubato, per l’economia in generale potrebbe sussistere un vantaggio, trascurando gli aspetti morali e penali.
Lasciamo agli storici dell’economia la determinazione del tempo a ritroso di un’economia di baratto così primordiale, che, probabilmente risale al neolitico. Consideriamo che in tempi molto risalenti sia stato trovato un mezzo (conchiglie, sale, ecc.) costituente un modulo per la misurazione dei valori di scambio, facendo nascere anche un concetto di prezzo. Rispetto al baratto non c’è stato un grande progresso, perché si sono ampliate le probabilità di successo dello scambio e, probabilmente, una maggior uniformità nella determinazione delle ragioni di scambio, ma non anche un maggior dinamismo nei processi produttivi, che restano ancorati a un pagamento per pronta cassa, cioè per “pronte conchiglie”, “pronto sale”, ecc. Per raggiungere un obiettivo di progresso dell’economia bisogna realizzare due novità: la nascita del credito legato al tempo e il concetto di interesse, che sono strettamente connessi da un rapporto di causa ed effetto.
Non bisogna però dimenticare il ruolo che può assumere la moneta. La monetazione è un fenomeno antico precedente la civiltà romana, ma che dai romani fu esaltato. Non è un caso che la zecca di Roma sorgesse vicino al tempio della dea Moneta, cioè ammonitrice. Le monete romane erano prevalentemente di bronzo e recavano effigi di imperatori. Basti ricordare il passo del Vangelo di Marco di cui si dirà in seguito.

1.1 La nascita del credito

 
Il credito nasce con la promessa di pagare in un tempo futuro il valore (prezzo) pattuito per lo scambio. Ma, finché il tempo non è decorso, solo uno dei due scambisti si avvantaggia: quello che riceve immediatamente i beni (le utilità), che può immettere in nuovi processi produttivi, mentre la controparte deve attendere la scadenza per ricevere la contropartita; intanto, però, peggiora i suoi processi produttivi, perché perde, seppur temporaneamente, il valore patrimoniale dei beni consegnati senza possibilità di avviare un nuovo ciclo di produzione. A pareggiare i due valori economici provvede l’interesse. Ma la promessa di pagare un credito a scadenza futura non ha ancora assunto una forma documentale, che consenta la sua trasferibilità o, meglio, la sua circolazione. Agli inizi dell’era del credito la forma è costituita da una dichiarazione, che nel tempo si chiamerà cambiale fino a forme più semplici, ma anche più sofisticate oggi vigenti, come, per esempio, l’anticipazione su fatture. La forma consente di utilizzare la promessa di pagamento futuro per alimentare atti di scambio tra una serie di scambisti diversi e/o per inserire nel circuito una banca, che interviene, non come scambista di beni, ma di moneta. Il beneficiario dell’originaria promessa può così realizzare la riscossione anticipata del credito e alimentare immediatamente nuovi processi produttivi, che non sarebbero stati possibili senza la ripristinata contestualità (o quasi) temporale della riscossione del valore dei beni ceduti. L’operazione costa perché anche la banca pretende un interesse; tuttavia, se il cedente portatore del credito vi aveva incorporato l’interesse, si ripristina l’equilibrio dei valori.
I vantaggi per gli scambisti e per l’economia generale sono facilmente intuibili. Senza il credito, quello scambio originario non sarebbe potuto avvenire, perché il prenditore dei beni non aveva somme disponibili in via immediata e il cedente non poteva permettersi di cederli senza riscossione immediata. Ma il credito, tradotto in adeguati documenti formali e/o legali, ha consentito di moltiplicare scambi e processi produttivi.
Il credito, così formalizzato e atto a circolare come un bene, è diventato a sua volta merce, con un suo prezzo e la banca che anticipa il credito in realtà lo acquista, seppur a condizioni particolari. Quindi, il credito diventa o strumento di pagamenti tra imprenditori mediante il suo trasferimento (girata, se nella forma cambiaria) o strumento finanziario per ottenere anticipazioni (sconto). In questa nota si prescinde da crediti non originati da scambi commerciali come le cambiali finanziarie, ecc., che sono solo strumenti per ottenere finanziamenti seppur destinati, in molti casi, a consentire indirettamente nuovi processi produttivi. La nostra attenzione si concentra, invece, sull’effetto moltiplicativo di processi produttivi rispetto alla situazione in cui sarebbe richiesta la contestualità del pagamento dei beni esitati. Il credito diventa, così, il cuore dell’economia e per comprendere la portata non solo metaforica, ma soprattutto reale di questa constatazione, è sufficiente immaginare uno scenario di solo baratto, come è stato nella premessa storica di questa nota.
È chiaro che il credito così inteso, cioè calato in una economia caratterizzata dalla presenza di processi produttivi, non deve essere confuso con rapporti di mero prestito. Per fare un esempio che risale ai romani: Cesare, prima delle campagne militari nel Nord Europa, era notoriamente un aristocratico pieno di debiti, contratti per acquisire clientes e fiancheggiatori politici per disegni attuali e futuri. Ma quei debiti, quindi specularmente i crediti, non avevano niente del credito che si inserisce in processi economici. Pertanto, erano prestiti, ma non crediti-debiti sia perché di natura statica sia perché privi della possibilità di diventare merce.

2. Il concetto di interesse

 
Un credito senza tempo è come un corpo senza anima. Ma quale tempo? O meglio quanto tempo? Se il tempo è “a vista” o un overnight, il suo inserimento nei processi produttivi diverge poco in concreto  da un “pronta cassa”. Ma, se pur in una dimensione di breve periodo, assume una scadenza significativa, allora gli effetti sono consistenti.
Però, non basta, perché, se il credito diventa una merce, allora deve avere un prezzo. Il suo prezzo è l’interesse, che funziona come la rotellina dell’orologio, che serve per spostare le lancette da un tempo all’altro. Ora, il prezzo del credito è un fatto naturale, che non richiede dimostrazioni in linea di principio, ma per la sua quantificazione si devono tener presenti due componenti strettamente compenetrate: il tempo fino alla scadenza, che è determinato dal calendario, quindi oggettivo, e un misuratore, lasciato alla discrezionalità delle parti che compravendono il credito stesso. Si tratta di due variabili matematiche, di cui va pesata la diversa importanza, pur nella loro intrinseca compenetrazione.

2.1. Il tempo

 
Il tempo, come se fosse svolto da una matassa, si rappresenta su una linea che, data l’uniformità quantitativa nel suo diacronico passare, è più propriamente una retta, sulla quale viene frazionato un segmento tra a) inizio della dilazione creditizia e b) scadenza della promessa o impegno di pagamento o sua estinzione.  È ovvio che, se b) si sovrapponesse ad a) o ne fosse di poco distante, avremmo un “niente” di tempo e quindi non sarebbe necessaria alcuna remunerazione, che, invece, deve essere economicamente e in genere proporzionalmente significativa in relazione all’allontanarsi di b) da a). Ma, richiamando quanto detto in precedenza, l’effetto dell’inserimento del credito con qualità di merce è tanto più positivo quanto più è lungo il segmento tra a) e b), perché dà vita a processi produttivi nuovi che, in assenza, non si sarebbe potuto avviare. Se questi concetti sono tipici della microeconomia, non può sfuggire l’importanza per la macroeconomia, per la quale la produzione di ricchezza novella è una condizione per il miglioramento delle condizioni di vita di una collettività.
Ma qual è il tempo che conta veramente? È il tempo futuro, quello atteso, carico di tutti i fenomeni che l’homo oeconomicus si sforza di prevedere, ovviamente con ricorso a tutti gli strumenti e in particolare la matematica finanziaria  e/o probabilistica, per prepararsi ad affrontare gli eventi. Chi è meglio dotato di intuizione, capacità di valutare le possibili evoluzioni dei fenomeni, avvalendosi di tutti gli strumenti sofisticati che la tecnica mette a disposizione, è sicuramente avvantaggiato rispetto agli altri. Vi sono poi fenomeni che si verificheranno in futuro, che hanno già nella realtà dell’oggi tutte le premesse per il loro accadimento. Se, per esempio, una banca centrale inondasse l’economia di oggi con masse enormi di moneta, si può prevedere, senza essere profeti, che l’inflazione si verificherà in tempi brevi. Chi ne tiene conto può senz’altro avvantaggiarsi nei confronti di chi ignora il fenomeno attuale. La previsione è diventata un cuore pulsante dell’economia e ciò spiega la meritata fortuna delle teorie economiche basate sulle aspettative, più o meno “razionali”.

 

2.2. Il saggio di remunerazione

 
In matematica finanziaria e in particolare nelle funzioni di capitalizzazione e attualizzazione di capitali, le variabili sono numeri e i numeri hanno solo il peso della loro espressione formale, sono, in un certo senso, asettici e senz’anima. Invece, in economia le variabili, seppur espresse in numeri, hanno un riferimento concreto, che può anche distaccarsi, in una certa misura dal valore assoluto del numero. Se, per fare un esempio, in una formula dell’interesse si iscrivesse oltre al capitale, il tempo 2 e il saggio d’interesse pure 2, il significato di quei 2 non è eguale perché rappresentano cause diverse. La variabile tempo è determinata dal calendario, è oggettiva e l’intervento dei contraenti è solo nella fissazione del termine di scadenza, dopodiché l’orologio non è più modificabile se si rispetta la scadenza convenuta, mentre il saggio d’interesse è tutto nelle mani dei contraenti. In altri termini: mentre il tasso può subire variazioni per indicizzazione o altro fenomeno, il tempo scorre ineluttabile secondo leggi astronomiche fisse. Questa constatazione ci consente di dire che il 2 dell’esempio non ha lo stesso peso giuridico-economico per il tempo e per il saggio di remunerazione. Ci possiamo chiedere se il Capitale, che non diventa Montante se il saggio di remunerazione è zero, resta eguale dopo 2 anni nella sua sostanza economica, con quel che può accadere nel contempo. La risposta è ovvia: il capitale resta eguale nella sua espressione nominale, non resta eguale nella sua sostanza economica. Altrettanto non si non si potrebbe dire del tempo, perché se pari a zero non sorgerebbe nemmeno il credito.

3. Rapporti tra moneta e credito

 
Dobbiamo innanzi tutto distinguere il denaro dalla moneta, che sono sinonimi solo in senso lato. Per denaro possiamo intendere un’entità astratta o generale, che può anche designare una rappresentazione di ricchezza, un insieme di monete, come si evince dall’espressione: avere tanto o poco denaro. Moneta è una realtà fisica (la sterlina d’oro, il marengo ecc.) o virtuale o meramente nominale (la moneta cartacea). In una delle sue accezioni anche denaro significa moneta come si evince dalla voce dinaro, che come denarius, è una moneta. È errato il termine denaro riferito a Giuda, che tradisce Gesù “per trenta denari”, perché, in realtà, il prezzo del tradimento è di trenta monete d’argento, come si legge nel Vangelo di Matteo, 26,14: «Allora uno de Dodici, chiamato Giuda Iscariota, andò dai sommi sacerdoti e disse “Quanto mi volete dare perché io ve lo consegni?”. E quelli gli fissarono trenta monete d’argento» (Nel testo latino: triginta argenteos», appunto trenta monete d’argento). Sempre in Matteo, 22,20 si legge il tentativo di trappola dei Farisei sul dovere di pagare il tributo a Cesare, al che Gesù rispose: «”Mostratemi la moneta del tributo. Ed essi gli presentarono un denaro. Egli domandò loro: “Di chi è questa immagine e l’iscrizione?”, gli risposero: “Di Cesare”. Allora disse loro: “Rendete dunque a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio”». (Nel testo latino: ostendite mihi nomisma census et illi obtulerunt ei denarium). Quindi è la moneta ciò a cui si fa riferimento e, al di là del valore teologico, contiene anche un’affermazione di scienza delle finanze. Anche oggi la moneta è il termine unico impiegato per riferirsi al biglietto di banca e alla gestione della massa monetaria, attraverso la politica monetaria, che l’autorità preposta attua.
Roma non inventò la moneta, che risaliva probabilmente ai fenici, ma la sua potenza espansionistica esigeva la presenza di monete in genere di rame e di bronzo, ma anche d’argento (i trenta denari di Giuda), comunque non di ferro, poiché diversamente non sarebbero pervenute fino a noi a causa dell’ossidazione. Ma, perché imprimere nel conio l’effigie del Cesare di turno? Per dare un valore legale superiore al valore intrinseco del metallo, che pure esisteva, ma in minor misura. Però circolavano, come si evince dai passi del Vangelo richiamati e servivano, evidentemente, per regolare scambi quotidiani di beni di consumo o di servizi , forse anche per tesaurizzazione e per prestiti a interesse (si ricordi la parabola dei talenti, restituiti in due casi su tre con maggiorazione del capitale), ma non certo per finanziare iniziative economiche. In senso economico si trattava di monete usate per salire un gradino sopra il baratto e non oltre.
Bisognerà attendere il basso Medioevo per i primi inizi di una funzione più evoluta in parallelo o in conseguenza dell’aumento dei traffici commerciali dopo il lungo sonno dell’alto Medioevo. Sono illuminanti le pagine di Le Goff nel testo “Lo sterco del diavolo“. Fernand Braudel, lo storico della scuola francese delle Annales, definì il XIII il “secolo lungo”, ma forse è ancora più lungo, almeno ai nostri scopi, sia perché parte prima sia perché va oltre. Si sa che le periodizzazioni sono mere convenzioni degli storici, talvolta devianti. Dire che il Medioevo finisce nel 1492 è arbitrario. Comunque il 1492 non lo sapeva! E sul punto bisogna fare un richiamo storico che è utile per quanto si dirà in seguito.
Una delle iniziative imprenditoriali più importanti fu la creazione dell’impreso commerciale di Francesco Datini, mercante geniale e munifico, che intuì l’importanza di avere filiali (oggi potremmo dire: “sportelli”) in tutta Europa a partire dalla sede in Toscana. Con l’ampliarsi degli scambi commerciali tra l’Italia del Nord, Venezia compresa, e il resto del mondo conosciuto fino alla Cina con Marco Polo, si rendeva necessario lo spostamento fisico del mercante, sempre in viaggio alla ricerca di contatti e di affari, ma con l’obbligo di portarsi appresso cassette (capsella, da a cui il termine “cassa”) di monete per pagare le merci da acquistare. I viaggi erano rischiosi per la presenza di predoni e di gabellieri (per esempio: Ghino di Tacco di craxiana memoria), perché facevano gola le monete custodite nelle scarselle e nelle capselle. Ma intervenne il genio di Francesco Datini, che era avvantaggiato dal gran numero di succursali. Il mercante che, per esempio, doveva recarsi In Inghilterra o in Spagna poteva versare le monete necessarie agli affari da realizzare in paesi lontani alla sede dell’azienda di Datini, che rilasciava una dichiarazione, che, presentata alla succursale inglese o spagnola, dava diritto a ricevere all’arrivo le monete versate alla sede. Un specie di “lettera di credito” o di “traveller’s cheque” o di “pagherò a vista” o di bancomat. Se questo è il timido inizio, dobbiamo però notare che si tratta di strumenti di trasferimento di valuta o di mezzi di pagamento e non di strumenti di credito in senso stretto; cioè dietro la lettera di Datini non c’è una transazione commerciale, che fa sorgere un credito, ma un mero scambio di valori nominali; infatti, non risulta che il cliente di Datini percepisse un interesse tra la data del deposito e quella del ritiro. Tutto reggeva sulla fiducia di solvibilità attribuita al gruppo Datini e sulla accettabilità della moneta espressa nella lettera di credito presso il paese di destinazione. I viaggi erano lunghi, ma non tanto da far prevedere che nel frattempo ci sarebbero state convulsioni tali da rendere inaccettabili i fiorini o i ducati, anche perché, e questo era determinante, le monete avevano un valore intrinseco molto vicino al valore espresso sulla moneta. Infatti il cambiamonete, oltre all’abaco, aveva come strumento di lavoro la pesa delle monete per evitare i danni della tonsura.
La monetazione del “secolo lungo” può veramente definirsi aurea, nel senso che le monete hanno un valore intrinseco effettivo e potevano essere identificate con il metallo pregiato, perché scarso. La moneta coniata valeva il valore e sostituiva il pezzo di metallo di cui era fatta e così durerà fino al dollaro convertibile, cessando nel momento in cui Nixon, il 15 agosto 1971, dichiarò la sospensione (abolizione) della convertibilità in oro del dollaro. Dopo, la moneta cartacea sarebbe diventata un atto forzosamente legale valida finché la fiducia reggeva e regge. La gente sa che è carta straccia,  ma la accetta per necessità, per ignavia e comodità. Ma anche la moneta metallica aveva manifestato difetti. Basti pensare all’inflazione spagnola del ‘600 quando, a seguito delle importazioni di argento e oro dal Nuovo Mondo, l’eccesso di circolazione ne fece cadere il valore. In realtà non fu la moneta a perdere valore per un effetto inflazionistico, ma il valore del metallo, che per eccessività divenne meno pregiato.
Le Goff sostiene, nel testo citato, che la insufficienza di moneta rallentava nel Medio Evo l’evoluzione e l’incremento del commercio e dell’economia in generale. Ma, a parte altri fenomeni come l’arretratezza delle tecniche agricole e la spinta di lavoratori verso l’inurbamento nelle città in cerca di diverse e migliori condizioni di vita, non tanto della insufficiente circolazione di pezzi di metallo coniati, era la mancanza di credito la causa principale dell’arretratezza economica. La Chiesa avversò con ogni mezzo il prestito per fini diversi da quelli del consumo, che doveva avvenire senza interesse, considerando che la causa era un fabbisogno alimentare, cioè primario, a cui provvedevano prevalentemente i monasteri. Interesse era considerato sinonimo di usura. Che la carenza di pezzi monetari non sia stata la causa principale lo si deduce anche da una contraddittoria affermazione di Le Goff, (cap. 5,58), che, in riferimento alla crescita di tentazione del 1300 circa,: «Questa “invasione” della moneta, che rappresenta in generale un progresso, determinò tuttavia una crescente inflazione, causa di notevoli difficoltà per signori e proprietari terrieri sempre più bisognosi di contante». Si può osservare che se ci fu invasione di moneta è contraddittorio che il fenomeno si sia manifestato in concomitanza con una crescente domanda di pezzi da parte di “signori e proprietari terrieri” e abbia prodotto inflazione. Semmai può essere vero il contrario, perché se la moneta è merce, cioè metallo, soggiace alla legge della domanda e dell’offerta. Vero è che la grande inflazione spagnola del XVII secolo fu causata veramente dall’invasione di metallo coniabile proveniente dalle colonie americane.
Abbia o no ragione Le Goff, una osservazione pare incontrastabile: se manca il credito, la moneta è solo uno strumento per evitare il baratto, ma lo scambio resta immediato e, seppur vero che la moneta assume un valore rapportato all’apprezzamento del metallo da cui è costituita, la tendenza era di attribuire con il conio un valore più elevato di quello intrinseco. Ma che cos’è questo differenziale se non credito? Credito viene da credere, cioè ritenere una cosa per vera, e risale all’accadico “kadru” (fiducia). Quindi, a prescindere dall’assenza di credito come noi lo intendiamo oggi, anche nel secolo lungo esisteva un credito almeno pari al maggior valore fiduciariamente riconosciuto alla moneta. Non è un caso che, seppur marginalmente, il credito fosse una componente della moneta.  Di quel credito-fiducia se ne sono sempre approfittati i detentori del potere. Tant’è che la monetazione fu sempre operazione riservata al principe, che se non la esercitava in proprio, ne concedeva l’appalto previo corrispettivo. In quel senso le cose sono vieppiù peggiorate, cioè la fiducia è diventata totale a prescindere dal valore intrinseco, come dimostra la moneta di carta ormai accettata anche se priva di valore intrinseco. Sul dollaro si legge l’affermazione “In God we trust“. A prescindere dal significato sottostante di “God”, Dio, ma probabilmente dio-denaro, resta evidente il “trust” cioè “fiducia” in inglese. Vero è che, finita la fiducia, anche la funzione di strumento liberatorio del debito cade, perché il creditore la rifiuta e pretende qualcos’altro. Seppur nelle legislazioni (per l’Italia l’art. 1277 del codice civile) che fanno obbligo di accettare la moneta, il creditore ha strumenti di difesa e, sul punto, non si può dimenticare il “Mercante di Venezia” di Shakespeare, che pretende il saldo del debito con la moneta pattuita e non altre pur circolanti e riconosciute.
In prima approssimazione si può dunque ritenere che è la fiducia, cioè il credito, che fa nascere la moneta e non viceversa.
Nel “secolo lungo”, cioè all’epoca del Datini, vi fu un cambiamento radicale e, consenziente la Chiesa, incominciò a manifestarsi un fenomeno parallelo alla moneta e, come si è visto, la lettera di credito e cioè il “credere” nella dichiarazione di qualcuno.
I mercanti dell’epoca erano anche organizzatori di trasporti di merci, espressione dei loro affari, sempre bisognosi di maggiori risorse per alimentare la crescita dei volumi di scambi commerciali. Nel contempo c’erano ricchi borghesi non “negozianti”, che, possedendo monete in larga quantità (di denaro nel senso di insieme di monete rappresentative della loro ricchezza) si dichiaravano disponibili a condividere con il mercante degno di fiducia l’esito di un affare o di una serie di affari. Concluso l’affare i compartecipi suddividevano il guadagno secondo i patti stabiliti, che potevano essere allo scoperto, nel senso che se l’affare andava male ne sopportavano insieme le perdite o con garanzia di un risultato positivo. Sorsero le prime “Compagnie in accomandita”, che oggi chiamiamo società, se per una serie di affari o “associazioni in partecipazione” o “società in accomandita semplice” o “patrimoni per singolo affare”, secondo l’art. 2447-bis cod. civ. Ma, se le somme consegnate da ogni singolo partecipante erano garantite nel risultato positivo, si aveva un rapporto di credito e non di quota associativa. Oggi la dottrina giuridica distingue i “rapporti associativi” dai “rapporti di scambio”. All’epoca, allorché il rapporto era di credito, in realtà si trattava di prestito, perché la destinazione delle monete non era per un rapporto sottostante di una transazione commerciale, ma, seppur destinato ad un negozio commerciale, aveva più natura finanziaria. Per diventare credito-merce mancava nella “ricevuta” la possibilità di circolazione, cioè la trasmissibilità. Questo sarebbe venuto o si sarebbe perfezionato in tempi successivi.
 
 

4. Il credito diventa moneta

L’atto di Nixon del 15 agosto 1971, decretando la sospensione della convertibilità del dollaro (per le altre monete cartacee era già in atto da lungo tempo) iniziò l’epoca del definitivo sganciamento della moneta da un suo riferimento a beni diversi (per esempio: l’oro). Sui biglietti della Banca d’Italia, per esempio, si leggeva la falsa dichiarazione di origine arcaica “pagabili a vista al portatore”. Ora tale ipocrisia non è più espressa nei biglietti in Euro e la moneta è un atto di fiducia nelle mani di chi la deve usare per le proprie transazioni. Se la fiducia viene meno, c’è la corsa a sbarazzarsene il più presto possibile e gli effetti sono noti, quindi non si può nemmeno dire che la moneta rappresenta un credito verso qualcuno a meno di considerarla un “credito forzoso” verso l’autorità monetaria. Oggi possiamo affermare che la moneta non diventa mai credito, perché manca della possibilità di essere convertita in un altro bene verso l’emittente. Gli economisti teorici attribuiscono alla moneta le funzioni di: mezzo di scambio, unità di conto, riserva di valore, ma sono affermazioni arcaiche o teoriche, perché la moneta è solo uno strumento per gli acquisti dei consumatori, che ne trattengono la stretta misura per le necessità quotidiane o immediate. Per le imprese i biglietti di banca non servono più, da che persino le paghe dei dipendenti sono regolate con accredito in conto corrente. Negli Stati Uniti  i dollari non servono più nemmeno per gli acquisti e se un automobilista si presenta alla stazione carburanti, è visto con sospetto se non paga con carta di credito. Le imprese usano la moneta di conto e i consumatori la moneta elettronica mediante bancomat.
Invece, il credito può diventare moneta in quanto possa essere trasferito. La distinzione tra pro soluto e pro solvendo non incide sulla natura del credito come moneta. Il credito con le caratteristiche di trasferibilità, anche se non diventa un mezzo di pagamento definitivo e soggiace ad azione di regresso in caso di insolvenza del debitore, non perde la natura di moneta, nel senso che stando al posto di questa ne riduce la necessità in  misura piena quale sarebbe se tutte le transazioni commerciali dovessero essere concluse con circolazione di moneta. L’imprenditore A cede merce all’imprenditore B e invece di biglietti di banca riceve una promessa cambiaria di pagamento. A sua volta, A acquista merci da C e in pagamento gli trasferisce la cambiale ricevuta da B e così di seguito lo stesso atto economico (compravendita) può essere regolato un certo numero di volte. Se per semplicità si ipotizza che A abbia un conto presso la banca Z e l’ultimo prenditore abbia altro conto presso la stessa banca, condizione peraltro non essenziale, la banca Z potrebbe procedere a un addebito sul conto d A e un accredito sul conto dell’ultimo prenditore, senza che sia entrata in gioco una moneta sostituita da registrazioni contabili. Quindi, il credito ha svolto le funzioni di moneta ed è diventato moneta a tutti gli effetti.

5. Il credito come moneta speciale

 
Si è prima sostenuto che il credito può essere moneta, ma semmai è una “moneta speciale”. Si è detto che la moneta è, almeno in parte un atto di fiducia; ma anche il credito lo è, solo che mentre la prima è di generale accettazione, il secondo è un atto limitato a due soggetti o a una catena di soggetti. Ovviamente bisogna distinguere tra credito di origine commerciale e credito di origine finanziaria. Il primo ha come elemento sottostante, anzi generatore, uno scambio reale di beni o servizi. In un certo senso merita più fiducia della moneta cartacea, che, sottostante non ha nulla. Si potrebbe persino sostenere che quel tipo di credito è più simile a una moneta convertibile del tipo dollaro ante decreto di Nixon del 1971 o di un sistema gold standard che non alla moneta cartacea inconvertibile. Infatti in tutte le legislazioni un credito documentale non onorato consente azioni esecutive sul patrimonio del debitore insolvente mentre la moneta emessa dallo stato insolvente resta la “carta straccia” che in effetti è sin dall’origine. Per questi motivi si può sostenere che il credito sia una moneta speciale.
Il peso del credito come moneta costituisce anche un problema di grande importanza per le politiche monetarie delle banche centrali, sia per il controllo della massa monetaria sia per le relazioni con i tassi di interesse, di cui il credito può essere cinghia di trasmissione. Infatti, le banche centrali e particolarmente la Bce attribuiscono grande rilevanza all’andamento di M3 nel cui aggregato sono comprese, per esempio le obbligazioni. Se l’espansione eccessiva del credito può essere una preoccupazione per le banche centrali, soprattutto se vengono derogati parametri prudenziali stabiliti da accordi internazioni, come, per esempio Basilea 3, la contrazione può dare preoccupazioni di altro tipo, perché se le banche fanno venir meno il credito alle imprese non finanziarie possono verificarsi restrizioni alla crescita economica dell’intera economia. Diverso è l’atteggiamento per l’espansione del credito verso settori finanziari e speculativi, che possono sviluppare pericolosi effetti di crowding-out a danno delle imprese di produzione. Il problema è particolarmente sentito all’uscita dal tunnel di cicli di depressione dell’economia, quando la rapidità di un rilancio può essere condizionata dal supporto creditizio.
 
 
 

6. Il credito e l’inserimento della banca

 
Il credito di origine commerciale diventa uno strumento potente per la crescita dell’economia se interviene il sistema bancario, che, come si è detto, consente una mobilizzazione o monetizzazione diversamente non realizzabile. L’intervento della banca avviene ex post, cioè a scambio compiuto, a transazione commerciale completata.
Diverso è il caso in cui la banca non interviene a monetizzare un credito altrui con gli strumenti giuridici dell’anticipazione, dello sconto, ecc., ma crea lei stessa il credito, da convertire in moneta, destinata dal prenditore ad atti commerciali successivi. È un credito ex ante. Può alimentare una catena, come nel caso di un’apertura di credito in conto corrente con possibilità dell’affidato di trarre con assegno quote di credito nei limiti del fido, cioè della fiducia concessa. L’assegno può circolare nello stesso modo di una cambiale e diventare temporaneo strumento di pagamento. In un certo senso tra questo tipo di fiducia e quella posta nell’anticipazione di un credito di origini commerciale non ci sono differenze sostanziali, salvo la diversa temporalità in cui si manifesta la fiducia bancaria.
In entrambi i tipi di intervento della banca il fenomeno va ben oltre, perché non si tratta solo di smobilizzare crediti preesistenti o di concedere prestiti, invece è ben più importante come avvengono e quali effetti producono queste operazioni. L’economista americana Ellen Brown in uno scritto del 3.7.2007 con titolo “L’inganno del dollaro: come le banche creano segretamente il denaro” afferma, tra l’altro: «Le banconote con la dicitura Federal Reserve (banconote di dollari) sono emesse dalla Federal Reserve una società per azioni privata, e prestati al governo. Inoltre, le banconote con la dicitura della Federal Reserve e le monete metalliche costituiscono, assieme, meno del 3 per cento dell’offerta monetaria. L’altro 97 per cento è creato, sotto forma di prestiti, dalle banche commerciali». Questa moneta bancaria, che è tale a tutti gli effetti, produce un effetto di moltiplicazione, viene creata “dal nulla” e dimostra che non la moneta crea il credito, ma il credito crea moneta.
Si viene così ad affiancare al signoraggio dello stato, che crea moneta e ne fruisce i benefici anche indirettamente con l’incasso dei dividendi da parte dell’autorità monetaria preposta, in genere operante come società per azioni di diritto privato ma a partecipazione pubblica, il signoraggio delle banche ordinarie che creano moneta a costo zero, senza nemmeno i costi della gestione che grava sulla banca centrale per l’emissione della carta-moneta.

7. Le scatole cinesi dell’investment bank e la saturazione del credito

 
Si è detto nel precedente paragrafo che anche il credito bancario concesso con apertura di credito in conto corrente e connesso uso di assegni, può diventare una catena. Ma una catena che si snoda fuori dalla banca, la quale sta solo all’origine come anello iniziale. L’ingegneria finanziaria dei nostri tempi è riuscita a creare catene che si sviluppano all’interno della banca stessa per proiettarsi verso l’esterno, come nel caso delle società finanziarie “veicolo” per la cartolarizzazione di pacchi di crediti bancari, spesso incagliati, come si dirà nel successivo capitolo.
 
 
 
 

7.1. Le cause della crisi del 2008

 
Vi sono almeno tre tipi di banche: a) quelle piccole che operano su un delimitato territorio e si occupano solo di economia locale; b) le piccole e le medie che si agganciano a quelle grandi per le operazioni, soprattutto internazionali o di sofisticata finanza, per le quali non hanno strutture autonome; c) le grandi, in genere con interessi internazionali, che hanno sportelli anche su vari territori, che spesso non conoscono, nei  quali esplicano un’attività “alla gettoniera”. A fianco di queste generalizzate strutture vi sono le cosiddette “banche d’affari”: Morgan Stanley, Goldman Sachs, Merril Lynch, NM Rothschild & Sons, a cui apparteneva (ma si deve dire appartiene) anche Lehman Brothers e che sono caratterizzate da attività di investimento (negli Usa le chiamano Investment banks) senza raccolta di risparmio in senso tradizionale, ma con emissione di titoli e strumenti finanziari, che vanno a gonfiare i portafogli dei risparmiatori e degli speculatori, altre banche comprese. Poniamo una premessa: da un punto di vista generale la banca è una infrastruttura (secondo Marx una sovrastruttura), che raccoglie il risparmio, lo seleziona e lo dà a prestito ai settori produttivi e anche alle famiglie con il cosiddetto “credito al consumo” in genere per acquisto di beni durevoli, in particolare mutui per acquisti-casa.
Nel 2008 scoppiò una crisi economica mondiale con un solo precedente per dimensione: la crisi del ’29, poi tante altre crisi di minor portata, ma non meno significative dal punto di vista della esperienza storica e degli insegnamenti ricavabili, di cui far tesoro. Ma che cosa accadde negli anni immediatamente antecedenti il 2008? Dalla risposta a questa domanda dipende la comprensione della crisi presente e di quelle future.
 

7.11. I mutui subprime e l’ingegneria finanziaria

 
È accaduto che, per mancanza di regole, non contro il mercato come affermano alcuni ottusi liberisti, ma a protezione della parte onesta del mercato, come sostengono i liberisti illuminati, le istituzioni finanziarie hanno inventato operazioni di ingegneria finanziaria, che hanno drogato l’economia, moltiplicato la speculazione e ingannato il mercato. Ma per inventare un meccanismo perverso occorre una partenza da una piattaforma estesa. Il mattone era la partenza, o meglio i mutui sul mattone. Le banche erano piene di crediti per mutui concessi senza il rispetto di regole di minima prudenza, cioè mutui subprime, che tradotto significa sotto il livello di garanzia normale. Ovvio che parecchi di quei crediti stabilizzati nei portafogli delle banche fossero di pessima qualità. Ma la fantasia dei banchieri è sconfinata ben oltre quella degli scrittori di Biancaneve & C., e allora: si crea, da parte della banca, una società finanziaria con un minimo di capitale, che poi emette obbligazioni e raccoglie risparmio sul mercato, illudendo i poveri risparmiatori ingenui, ma stupidamente affamati di alti rendimenti. La società finanziaria, chiamata anche “veicolo”, è in realtà emanazione della banca che l’ha creata ed è la stessa che compera dalla banca controllante pacchi di crediti per mutui; poi è la stessa banca a capo della catena che infila le nuove obbligazioni emesse dalla società veicolo nei portafogli dei propri clienti-risparmiatori. Ma la catena sarebbe troppo semplice e, allora, si innestano altre sofisticherie finanziarie. Finché nessuno si accorge del bluff o tutti stanno zitti, vigilanti delle banche centrali compresi, sembra un eldorado. Sennonché, forse anche a causa delle dimensioni imponenti e incontrollabili del fenomeno, qualcosa si è inceppato ed è saltato l’intero meccanismo con ricadute sull’economia reale, creando la crisi che ha avuto inizio nel 2008. Si è verificato in termini moderni un fenomeno analogo a quello della “corsa agli sportelli”, quando i risparmiatori perdono la fiducia della banca e si precipitano in massa a ritirare i depositi a risparmio. Perché – e gli economisti stentano ad ammetterlo – l’economia ha molto a che fare con la psicologia, come è ovvio, perché l’economia è invenzione dell’uomo e l’uomo è un “animale psicologico”.
 
 
 

 7.12. La speculazione

 
Intanto, gli effetti finanziari dei mutui subprime concessi come se fossero stati lasciati cadere dall’elicottero, si era trasferita sui prezzi degli immobili facendoli salire e la bolla immobiliare cominciò a gonfiarsi, ma il fenomeno era noto ben prima del 2008. Però, la speculazione, che era ed è un cancro che si espande senza limiti, aveva invaso anche l’intero mondo economico, specie delle materie prime (petrolio, rame, ottone, mais, frumento, ecc.) e delle monete con effetto sui cambi, e l’aveva invaso con i cosiddetti strumenti finanziari “derivati”, che sono peggio di una discarica di rifiuti, con pesanti condizionamenti sull’economia reale e tutta questa carta speculativa sta in piedi con il danaro delle banche, che finanziano i differenziali di prezzo, e comporta anche la moltiplicazione degli effetti. Mi spiego con un esempio collaterale: se voglio speculare su un titolo azionario, scommettendo che il suo corso diminuirà, non ho bisogno, con le leggi attuali nazionali e internazionali, di disporre del titolo, faccio un contratto di vendita, ma senza possederlo. Se alla scadenza del contratto il corso del titolo è inferiore a quello a cui l’ho venduto incasso il differenziale, cioè il premio della scommessa, premio che in genere è più alto dell’interesse che devo pagare alla banca che mi ha finanziato l’operazione. Se invece il corso del giorno della scadenza fosse più alto, pagherei solo il differenziale e quella sarebbe la mia massima perdita più l’interesse alla banca. Cioè, ho scommesso sul titolo senza averlo, se sono venditore, e senza bisogno di ritirarlo quando sono compratore. È chiaro che questo non è un esempio di derivato, ma rende l’idea di cosa è un derivato. Infatti, immaginiamo di scommettere sul barile di petrolio al rialzo; ovviamente, il barile di petrolio non ce l’ho in cantina (gli sceicchi sì, tanto per dire che questi signori speculano anche sulla propria ricchezza moltiplicandola), ma se siamo in tanti a scommettere sul rialzo del petrolio ecco che il prezzo del petrolio può salire a 150 $ il barile, come è avvenuto poco tempo prima della crisi del 2008. Ma il problema non si ferma alla speculazione, perché ci dobbiamo chiedere: chi paga le conseguenze? Ovviamente le aziende produttrici che impiegano il petrolio o l’energia elettrica e le famiglie con la bolletta elettrica e gli automobilisti che scontano gli effetti alla pompa di benzina.
Ma c’è una causa fondamentale, che secondo alcuni economisti sta a monte di queste cause: la politica monetaria statunitense, eccessivamente espansiva, che ha drogato l’economia mondiale. Gli Stati Uniti sono una grande economia, ma non è vero che siano una grande democrazia, come vorrebbero farci credere e noi la beviamo o siamo costretti a berla. La realtà è che gli Stati Uniti risparmiano poco e consumano molto. È vero che fanno le guerre per la libertà di tutti, ma poi pretendono che a pagare siano anche gli altri, il che, fino a un certo punto, può anche essere giusto. Ma è come lo fanno, che non è per niente democratico. Hanno accumulato un debito pubblico di oltre 13 mila miliardi di $ e un debito della bilancia commerciale che è stratosferico e in altri paesi comporterebbe il fallimento totale, ma loro hanno il dollaro, che è la cambiale più protestabile al mondo, ma che nessuno mette all’incasso per timore che crolli l’intero sistema mondiale. Non solo; ma gli Stati Uniti governano la moneta a piacimento e ciò spiega, per esempio, perché il cambio sia a 1,30/1,50 $ per € quando dovrebbe essere di poco superiore a 1. Ora, è accaduto che per sostenere quell’economia di consumo (non si dimentichi che anche le bombe e le armi sono beni di consumo) abbiano aumentato il flusso del rubinetto del dollaro negli anni anteriori al 2005, costringendo il costo del danaro a livelli bassissimi e quindi il costo (l’interesse) dei mutui. Ma quando il costo è bassissimo la domanda delle abitazioni sale e da qui la bolla dei subprime con quanto ne è poi conseguito. Ma non basta: le autorità monetarie sono arrivate al punto di forzare la mano delle banche a concedere prestiti, denunciando di discriminazione o con forme subdole di moral suasion le banche che ritenevano non affidabili certi richiedenti di mutuo, salvo poi abbandonarle al loro destino come dimostrano i fallimenti bancari successivi. Questa non è democrazia e ancor meno può essere una difesa del libero mercato, ma solo una contraddizione insanabile, che abbiamo pagato e continuiamo a pagare tutti.
La tecnica bancaria si è ulteriormente arricchita negli ultimi anni di un’altra novità che sta potenziando, non sempre con effetti positivi, i rapporti tra moneta e credito. Si tratta della moneta elettronica e, in particolare, quella derivata dalle carte di credito. Possiamo distinguerne di due tipi: la carta di credito senza fido e quella con fido bancario. La prima altro non è che uno strumento di prelievo da una deposito giacente presso l’emittente della carta e funziona come un assegno, ma senza possibilità di girata. Gli assegni e, quindi, le carte di credito di questo tipo non cambiano la massa di moneta in circolazione più di quanto non lo facciano gli assegni bancari. Diverso è il caso delle carte di credito con fido bancario, perché creano gli stessi effetti della moneta bancaria creata mediante il credito.
Le carte di credito con base affidata sono anche strumenti di utilizzo del credito al consumo, che ha raggiunto grande diffusione e, almeno per gli Stati Uniti, costituisce una causa di dilatazione della spesa privata e una difficoltà di adeguati controlli da parte dell’autorità monetaria.
Si deve ricordare che il controllo del credito era, fino a pochi anni fa, uno strumento di controllo da parte della banca centrale ancora più importante della base monetaria. Non che siano venute meno le attenzioni per questo importante canale, ma, forse per le maggiori difficoltà di esercitare direttamente questo tipo di controllo, la sua importanza è arretrata a secondo livello.

8. Conclusione

 
Nella lingua italiana si distingue fiaba, che ha per protagonista l’uomo, da favola, che ha per protagonista animali e con fine moraleggiante.
Moneta e credito sono fiabe dell’uomo, che aggiunge ogni giorno nuovi capitoli, senza fine e, talvolta, senza fini o con fini non edificanti. Come per tutte le altre invenzioni umane l’esito della fiaba dipende dall’uomo  e dal fine che si pone. La storia della moneta e del credito è, a partire da epoca lontana, la storia dell’economia, che intorno si costruisce. È ben vero che in economia la parte più importante è da riferire alla produzione, ma senza moneta e credito non vi sarebbe stata la crescita esponenziale che conosciamo, fino al punto da poter affermare che senza quegli strumenti la stessa produzione avrebbe compiuto pochi passi. Certo, l’economia reale sarebbe stato di per sé un bel motore, ma senza carburante non avrebbe potuto girare e trasmettere il movimento. Moneta e credito sono stati per secoli un investimento, nel senso di veste che copre, ma il pericolo di oggi e ancor più del domani è il loro trasformarsi da veste in corpo. Se la fiaba si trasforma in favola, allora possiamo regalare a un lama un pacco di sapone e chiedergli di sputare bolle…di sapone.