Anacleto Verrecchia e Mercurio, suo corrispondente di guerra

 

Fresche di stampa elegante e classica, l’editore Fogola di Torino manda in libreria le “Lettere Mercuriali”, che Anacleto Verrecchia gli aveva affidato il giorno della sua scomparsa.  La moglie dell’autore ha chiesto e ottenuto che il testo non fosse rivisto da altri, ma riprodotto nella sua originale integrità, pur sapendo che l’acribia connaturata gli avrebbe suggerito qualche ritocco. Ma il lettore che conosce le opere di Verrecchia, può constatare che non ce ne sarebbe stato bisogno, perché spirito e stile sono quelli noti di uno scrittore, che in ogni opera ha sempre fatto i conti con se stesso e con l’amatissima lingua italiana. Già il titolo è rivelatore: “mercuriale” è un aggettivo, ma Verrecchia lo scrive con la “M” maiuscola, perché nessuno pensi ai listini di borsa, ma a una divinità dell’antico mondo classico greco-romano. Non è un caso che Mercurio nella affollata platea delle divinità della antropomorfa politeistica religione pagana fosse il più libero degli dei e che piacesse tanto al nostro autore, che della libertà personale di pensiero e di azione ha fatto una ragione di vita e che ora ci impartisce un’ultima lezione postuma, ma che è in concreto una eredità morale. Le “Lettere Mercuriali” sono l’autoritratto di uno spirito, che va direttamente all’essenza delle cose belle, che non si limita all’osservazione con il filtro della cultura, ma rivive la classicità, che, a paragone, rende barbari i nostri tempi.

Il libro si caratterizza per una finzione letteraria, una specie di metafora. Verrecchia immagina che Giove, padre di tutti gli dei, spedisca Mercurio sulla Terra in veste di “inviato speciale” con impegno a riferirgli le sue impressioni sul comportamento di quella specie degradata che è l’uomo dei nostri giorni. Ma la cattiveria che gli umani impiegano con ostinazione a scannarsi in guerre in nome del potere e del danaro, rende Mercurio più che un “inviato speciale” un “corrispondente di guerra”. Mercurio invia a Giove quarantanove messaggi da vari angoli della Terra: da Atene, Palermo, New York fino alla Siberia e da altre capitali o città che hanno avuto una storia e ora mostrano solo desolazione morale e degrado culturale. Le “Lettere Mercuriali” non sono una guida turistica, ma una condanna senza appello della insensatezza umana, contro cui lanciare l’anatema di Verrecchia e le saette di Giove. Verrecchia-Mercurio è un Pubblico Ministero, che fornisce prove inappuntabili per la sua richiesta di condanna dell’uomo. Certamente a Verrecchia l’accostamento a un PM non sarebbe piaciuto, dopo quel che scrive nella lettera XLII da Roma: «Un paese [l’Italia] in cui i giudici sono molto più importanti degli insegnanti è malato», ma si tratta di un giudizio morale e non su istituzioni, che, peraltro, come funzionano nel nostro sguaiato Paese, con la democrazia hanno ben poco a che vedere. Quindi, Verrecchia, mi consente l’appellativo forense!

Nel libro affiorano anche i riferimenti di una cultura classica non comune, sopra tutti Ovidio e Lucrezio e giudizi impietosi come quello su Orazio, un “cazzabubboli”, pur essendo un grande poeta (Lettera XXI da Mosca) e su Platone che «sapeva lanciare lo sguardo sull’universo e scrutarne i misteri, ma nella vita pratica non sarebbe stato capace di andare a fare la spesa» (Lettera III). Verrecchia sa anche essere umorista, di un umorismo amaro, perché avrebbe voluto vivere in un mondo migliore assieme al suo “inviato” Mercurio.

Ma le “Lettere Mercuriali”, come le altre opere di Verrecchia, sono una lezione di “bello scrivere”, che i cosiddetti scrittori di oggi non conoscono o non praticano, preferendo, magari, infarciture di locuzioni anglo-americane, incomprensibili ai più, ma che fanno culture o civilization, il che, per vero, cambia poco le cose, perché di loro non si capisce nemmeno l’italiano che resta.

Quasi per sottile vendetta, Verrecchia ama riproporre vocaboli che i dizionari non considerano arcaici, ma attuali, solo che la banalità del linguaggio televisivo e teleguidato li ha relegati in seconda fila. Alcuni esempi: melote, mannello, maccaluba, mencio, mastaccone, caposcarico, cachinno, squarquoio e così via.

Mi sono chiesto, leggendo Verrecchia, quale sia il segreto del suo stile, quasi fosse un meccanismo, che si possa smontare e, ricomponendolo, scoprirne la formula. Agli amici lettori dico che non esistono meccanismi né formule. La formula è nella semplicità e nella chiarezza e le “Lettere Mercuriali” ne sono un esempio: libro da leggere anche se fosse solo per ricevere una lezione di stile.

____________________________________

Anacleto Verrecchia, Lettere Mercuriali, Fogola editore-Torino – € 20     e-mail: info@fogola.it