Inapplicabilità dell’artt. 2409 cod. civ. alle  s.r.l.

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 Il regime delle società a responsabilità limitata, prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 6/2003, era caratterizzato da una stretta analogia di carattere ideologico oltre che normativo con le società di capitale maggiori, talché era chiamata la “piccola spa” con intuitu personae pressoché inesistente. Gli articoli: 2486, 2487, 2494, 2495, 2496, si collegavano espressamente ai corrispondenti della società per azioni, mentre non erano previsti rinvii, per esempio, all’art. 2409 cod. civ. L’intrinseca possibilità di ricorso all’analogia consentì affermazioni giurisprudenziali favorevoli all’applicabilità dell’art. 2409 alle s.r.l.

Innovazioni del D.Lgs. n. 6/2003

Con la riforma del diritto delle società di capitali, il legislatore ha inteso espressamente differenziare i due tipi di società, avvicinando la s.r.l. alle società di persone o, quanto meno, allontanandola dalla s.p.a. nei punti più caratteristici della governance, dei rapporti tra i soci e la società sia per l’amministrazione e le delibere assembleari sia sul controllo dell’amministrazione e l’applicabilità dell’art. 2409 cod. civ. La Relazione al D.Lgs. 6/2003, ecita con chiarezza: «D’altra parte è sembrato logico che sulla base di questa soluzione divenisse sostanzialmente superflua ed in buona parte contraddittoria con il sistema la previsione di forme di intervento del giudice quali quelle ora previste dall’art. 2409. Esse sono sostanzialmente assorbite dalla legittimazione alla proposizione dell’azione sociale di responsabilità da parte di ogni socio e dalla possibilità di ottenere in quella sede provvedimenti cautelari come la revoca degli amministratori. La prospettiva è in sostanza quella di fornire ai soci uno strumento in grado di consentire ad essi di risolvere i conflitti interni alla società». Eppure, se si vuol operare una corretta interpretazione, non si può dimenticare l’art. 12 delle “Disposizioni sulla legge in generale”, che al primo comma fa obbligo di risalire alla “intenzione del legislatore”. Che il passo della Relazione citato sia l’intenzione del legislatore non possono esserci dubbi; da qui l’obbligo di rispettarla oppure di cambiare la norma, ciò che non è compito dell’interprete, sia esso giudice e/o giurista, ma del legislatore.

La giurisprudenza recente

Le prime sentenze emanate successivamente alla riforma non sono state uniformi, sollevando anche questioni di incostituzionalità. La Corte Costituzionale ha risposto con la sentenza 14.12.2005, n. 481, dichiarando l’infondatezza della questione di legittimità in relazione all’art. 76, ma anche dell’art. 3 della Costituzione. Conseguita la certezza della costituzionalità della norma, la Corte di Cassazione, con sentenza 13.1.2010, n. 403, ha confermato l’inapplicabilità dell’art. 2409 alle s.r.l. Ma tali autorevoli pronunzie sembrano ignorate o disattese dal Tribunale di Milano, che con sentenza 26.3.2010 ha affermato che l’art. 2409 è applicabile alle s.r.l. in virtù del rinvio alle s.p.a.  dell’art. 2477 ult. co., che, pur nel limitato caso del controllo legale dei conti includerebbe anche implicitamente l’art. 2409. Non conta per il tribunale che il collegio sindacale non sia previsto per tutte le s.r.l. A parte l’ovvia considerazione che con il metodo ambrosiano si perverrebbe a includere in via meramente interpretativa fattispecie che l’intenzione del legislatore ha esplicitamente escluso, come si legge nella riportata Relazione, resta il fatto che, ammessa e non concessa l’interpretazione di quel Tribunale, il principio non sarebbe comunque estensibile a tutte le s.r.l., così creando un erroneo sdoppiamento dell’unica species prevista dal legislatore. Pertanto, è pienamente condivisibile l’affermazione della Corte di Appello di Trieste che in sentenza 5.11.2004 aveva già affermato: «…è inapplicabile il controllo giudiziario a tutte le società a responsabilità limitata, senza distinzione tra quelle dotate di collegio sindacale e quelle prive», così anticipando la Cass. 13.1.2010, n. 403. Ma, a prescindere da queste considerazioni preliminari, la sentenza milanese stimola a valutazioni avverse, come, per esempio:
a)      è vero che ai sensi dell’art. 101, comma 2, Costituzione, “I giudici sono soggetti soltanto alla legge”, ma non possono porsi contro l’intenzione del legislatore, allorché sia esplicitamente manifesta. Nella fattispecie, inoltre, non è in discussione tanto una singola norma quanto l’intero regime delle s.r.l. e l’intuitu personae, che lo caratterizza e lo differenzia. Si verte in un caso in cui singola norma e intenzione del legislatore, che poi è la ratio, creano un sistema. L’interpretazione milanese si pone, così, contro il sistema, e ciò non nega la libertà del giudice, ma lo conduce nell’ambito dell’interpretazione, che non è libera e sconfinata, a meno di pretendere l’abrogazione dell’art. 12 delle Preleggi, che non è compito del giudice;
b)      secondo il Tribunale di Milano l’estensione dell’art. 2409 cod. civ. sarebbe necessaria perché il controllo diretto dei soci che il nuovo regime delle s.r.l. uscito dalla riforma non sarebbe adeguato a tutelare interessi più vasti di quelli dei soci. Ma anche questa motivazione non regge, perché, così motivando, si finirebbe per inventare tutele che il legislatore non ha voluto affermare. Il Tribunale di Milano avrebbe potuto sollevare nuove questioni di legittimità costituzionale, ammesso di riuscire a superare la citata sentenza n. 481/2005, ma non procedere direttamente con una interpretazione integrativa della legge, soprattutto dopo la sentenza Cass. N. 403/2010, a cui, invece, ha fatto adesione Trib. Firenze 25.10.2011.
Conclusivamente il nuovo sistema è l’inestensibilità alle s.r.l. del controllo giudiziario ex art. 2409 cod. civ. Gli insoddisfatti della soluzione possono solo auspicare una modificazione legislativa, non una forzatura giurisprudenziale.
Pietro e Giulia Bonazza