L’Assessore alla Cultura del Comune di Milano, Finazzer Flory

La Fondazione Casa e Archivio Piero Martinetti

La Fondazione Piero Martinetti

Hanno organizzato per il 21 aprile 2009 l’edizione 2009 delle “Letture Martinetti” presso la Sala del Grechetto nel Palazzo Sormani di Milano.

Sono invitato e partecipo. Riporto alcune impressioni.

***

Sono presenti in sala una cinquantina di persone, quasi tutte donne tendenti all’antico e pronte a un abbraccio non erotico con Morfeo. Alcune sicuramente nate prima che Martinetti morisse. I pochi uomini sono più o meno i relatori e si distinguono già dal modo di porgersi, ovviamente con carte nella mano sinistra appoggiata al cuore. Bisogna amarla la cultura, perbacco! Quei cattedratici mi rievocano pensieri poco amichevoli di Arturo sui docenti universitari. Caro Schop, avevi ragione! Ma il numero dei seduti mi dice quanto è elevata e diffusa la cultura a Milano e del suo assessore, che non era presente perché impegnato altrove. Altrove è un posto immaginario, che risolve il dubbio della impossibile ubiquità.

Noto una misirizzi con i capelli rossi bioccoluti, che mi pare di aver già visto al Convegno di Castellamonte; non è una bellezza, nemmeno come femmina di elfo. Transeat! Non si può avere tutto dalla vita.

Apre un prof di casa, di cui non ricordo il nome, che parla per dieci minuti sui pregi delle pareti della sala addobbate con tele ritagliate di un pittore del Seicento, amante del colore nero. Un Carneade che ti rimanda per reazione alla solarità dei “Girasoli” di Van Gogh. Finalmente deposita le sue parti più auguste su una sedia di prima fila e passa il pallone all’introduttore, un prof dell’Università di Torino. Solite frasi su Martinetti, in primis il suo diniego al giuramento del ’31. Dimentica di precisare che la grande dignità di quella scelta non fu nel “no”, ma nella lettera al Rettore, in cui quel filosofo spiegò il motivò del diniego. Dimentica soprattutto di dire che noi dovremmo amare Martinetti anche se avesse giurato.

Il prof cede poi la parola al relatore, uno specialista in filosofia indiana, che ci inzuppa per un’ora di richiami a Buddha, al parallelismo con Cartesio. Capito poco. L’unica affermazione che mi colpisce è che Martinetti non è collegabile, se non indirettamente, all’esposizione del relatore. Secondo me, mente di brutto. Intuisco che l’indianprof conosce la filosofia indiana, ma assai meno Martinetti. E allora mi chiedo: perché usare un filosofo piemontese galantuomo come pretesto per disquisizioni sui Veda? Martinetti, ammesso che fosse uno specialista di filosofia indiana come il relatore, l’ha vista comunque da europeo, come accadde a Schopenhauer. Quando guardava le Alpi e la natura ai piedi del Gran Paradiso, vedeva un mondo diverso e più bello del Gange, pieno di morti galleggianti e di viventi che a riva ne bevono l’acqua come fosse rosolio. Quando scriveva “Breviario spirituale” non si calava nel panteismo buddista, ma nella morale occidentale.

Alla fine l’indianprof conclude con un sorriso compiaciuto su un faccione di buongustaio, che ama la bistecca di vacca, non proprio come un pio indù. Applausi di circostanza, tenui schiaffetti della mano sinistra alla destra. Ite. Amen.

Lascio la sala e verso la porta vedo un signore dall’aspetto nobile e distaccato, baffi alla siciliana, colorito pallido, giacca nera, ma subito me lo immagino ufficiale di cavalleria di Pinerolo. “Ehi, Piero, che ne pensi?” gli chiedo in tono forse un po’ troppo familiare, ma so che lui mi capisce e mi vuol bene. “Piero, io penso, sono loro che non pensano”, mi risponde. Mi illudo di aver parlato con Martinetti, ma ai sogni ci sono abituato. Anche lui.

 

Piero Bonazza