La stampa dei paesi più deboli dell’€, italiana in testa, sono molto critici verso la politica restrittiva della Germania, che impone una politica di tale rigore da rende impossibile la loro ripresa, strangolando con politiche fiscali insostenibili e tassi d’interesse esaltati dallo spread rispetto ai bund, alimentato più dalla speculazione che dai fondamentali del sistema economico. Eppure anche la Germania ha le sue debolezze e, allora, dov’è la colpa? Si devono analizzare tre punti, che richiamano i difetti di origine della Ue:

a) nonostante un costoso apparato burocratico e un inutile parlamento, che delibera solo compromessi, ma in favore dello stato più forte, l’unica vera politica è quella monetaria, che però non può avere efficacia oltre la difesa del livello dei prezzi, tra cui il tasso di interesse di riferimento. Pretendere, come si sta facendo, che la politica monetaria possa addossarsi compiti surrettizi di stimolare la crescita economica e la difesa dell’occupazione, è irreale. Per scoprirlo, basta leggere un qualsiasi manuale di macroeconomia elementare. La Bce sta facendo il possibile e oltre, ma non potrà andare oltre una moral suasion. Né potrà addossarsi il compito di difendere le banche, surrogando il mercato dei capitali. Può, senza dubbio, fare interventi tampone di breve periodo, ma se le banche sono in affanno di capitali, solo il mercato può risanarle, perché solo il mercato le può giudicare e valutare  efficienza ed economicità;

b)  la politica fiscale, comprensiva delle decisioni di imposizione e di spesa e, quindi, di gestione del debito pubblico è lasciata ai singoli governi con il risultato che oggi i paesi più esposti in debito sovrano sono quelli più a rischio. Emblematico è il caso della Grecia, a rischio di default e di uscita dall’€ a causa di unapolitica economica dissennata. In proposito non si comprende la drammatizzazione enfatizzata dell’esclusione. Sarebbe come ipotizzare se si temesse che l’uscita dell’Oregon metterebbe a rischio gli Stati Uniti. La speculazione non spiega il proprio comportamento irrazionale: se la Grecia è un problema, la sua uscita dovrebbe essere una soluzione ed essere vista come un miglioramento delle condizioni generali dell’€; se, invece, al contrario, è una dimostrazione che i mercati finanziari sono irrazionali. È reso evidente dai dati contabili, che i greci sono vissuti al di sopra dei loro mezzi, sfruttando il lassismo dei loro governi per motivi elettorali. È ciò che avviene in aree regionali dell’Italia meridionale, specie insulare, e spiega, almeno in parte, il rischio di default dell’Italia. È però evidente che l’uscita della Grecia dall’€, con relativa insolvenza dei debiti, avrebbe un effetto devastante sui creditori, specie bancari, degli altri Paesi europei. La Bce e le banche francesi e tedesche, meno quelle italiane, hanno in portafoglio notevoli quantità di titoli greci, i cui valori dovrebbero essere svalutati con effetti globali non facilmente immaginabili. A questa situazione, facilmente prevedibile, si aggiungerebbe l’ “effetto domino” o almeno quella parte che è di carattere politico e di psicologia sociale in tutta la Ue. Su queste considerazioni si basa l’augurio che la Grecia non esca dall’€, a parte i rigorismi fuori misura di Frau Merkel, che non riflettono necessariamente l’opinione più diffusa in Germania;

c) gli Stati Uniti hanno un debito pubblico, che non ha paragoni, una politica monetaria piuttosto accomodante, anche se poco tenera verso il sistema bancario, come si evince dall’abbandono al proprio fallimentare destino di Lehman Brothers e di centinaia di banche minori. Inoltre, non sembrano praticare il mito del politically correct, che è una stupidaggine anglosassone, di cui si sono innamorati i dominanti indecisionisti europei. La forza degli Usa sta nel rendere forti agli occhi del mondo le loro debolezze e nel far apparire forte la debolezza di fondo pilotata del $. Gli Stati Uniti si sono proclamati, anche quando non lo danno a vedere, poliziotti del mondo e strenui difensori della libertà: perdono le guerre e poi chiedono agli altri la mezzadria dei costi non senza una qualche buona ragione. In realtà la politica estera americana è dominata dall’utilitarismo e per una goccia di petrolio sono capaci di scatenare conflitti. Ci fu un tempo in cui, almeno sul piano culturale, gli Stati Uniti erano una propaggine dell’Europa, ora è l’inverso e ciò spiega le interferenze nella politica europea, anche perché questa è inconsistente.

In questo quadro si iscrive la posizione della Germania, che non è la prima della classe per propria scelta, ma perché gli altri paesi europei sono insufficienti. L’Europa non è germanocentrica per volere dei tedeschi, ma perché gli altri non hanno politiche interne coerenti: Italia in testa, che va a Berlino a mendicare consensi su politiche di risanamento, necessarie ma errate nell’impostazione.

Non si spiega, quindi, perché la stampa italiana se la prenda tanto con la Germania, che ha la sola colpa, ma non è tale, di sfruttare la posizione, senza propensione a propri sacrifici a favore di altri. E chi, al suo posto, non farebbe altrettanto? Non certo la Francia, ancora con l’idea fissa di una grandeur, che è una malinconica mistificazione dell’illusione colonialista. La Germania viene accusata di scarso spirito europeista, ma su questo punto bisogna fare almeno due considerazioni: a) gli altri paesi europei non lo sono certo di più, sempre pronti a sfruttare i vantaggi e a non pagare il prezzo; se non altro, la Germania si avvantaggia senza intenzionalità, limitandosi a raccogliere i frutti maturi; b) nonostante diffonda periodicamente strani e strumentali sondaggi di opzione di molti tedeschi per un ritorno al marco, la Germania fuori dall’€ pagherebbe un prezzo altissimo, non solo per la perdita dei vantaggi sin qui sfruttati, ma anche vedrebbe la sua forza economica tramutarsi in debolezza, visto che l’est, sua area di naturale e storica espansione, è già oggi un punto di incertezza e di rischio. I tedeschi sembrano aver metabolizzato i contrasti con la Francia, che datano dalle guerre di religione del XVI secolo fino alla seconda guerra mondiale, ma è un fenomeno molto parziale, perché si tratta di una metabolizzazione solo economica e di vantaggi finanziari, non culturali e ancor meno religiosi, nonostante l’appiattimento conseguito a quel male comune che è la secolarizzazione-

A questo punto si pongono per l’Italia due constatazioni:

a) quali sono i vantaggi incolpevoli della Germania nella attuale situazione europea:

b) il prezzo imposto all’Italia.

a) Vantaggi della Germania

Per approfondire la consistenza effettiva delle note giornalistiche accusatrici è opportuno ipotizzare uno scenario di una Germania, che abbandona l’€ per tornare al tanto amato Marco, pur ammettendo che è difficile simulare un € senza la Germania, ma anche senza l’Italia, perché se si fa tanto chiasso per l’eventualità di un abbandono o di un’espulsione della Grecia, con i suoi paventati effetti domino, possiamo essere certi che un abbandono da parte della Germania ( o dell’Italia) sarebbe la fine definitiva dell’€. Ma una simulazione astratta va comunque proposta, se si vogliono esaminare i vantaggi che la Germania consegue entro l’€.

Se la Germania oggi uscisse dall’€ che quota il $ a 0,80 (cioè $/€=1,25), si può ipotizzare che potrebbe fissare il Cambio DM (Deutch Mark) il 30% in più, cioè, coeteris paribus,  a 1,625 $ per 1 unità di moneta tedesca. Ora si prenda il prodotto di cui i tedeschi vanno più fieri: l’automobile Mercedes, che prima dell’abbandono dell’€ il listino tedesco negli Usa quotava per il modello E 75mila € e con obbligo di saldare il debito in €; l’acquirente americano pagava tale automezzo 93.750 $. Ora si ipotizzi che il listino venga mantenuto a 75mila €, ma da saldare in DM; il consumatore americano dovrebbe spendere non 93.750 $, ma, al cambio DM 1,625, dovrebbe spendere 121.875 $. La penalizzazione per l’export tedesco, sarebbe insostenibile e la Germania vedrebbe cadere le proprie esportazioni di automobili, perché la tanto vantata qualità non serve oltre un certo differenziale di prezzo, già ora non concorrenziale con le produzioni di competitori orientali e della stessa Detroit. Ovvio che, di contro, la Mercedes pagherebbe di meno i semilavorati e le materie prime che importa a piene mani per gli assemblaggi delle autovetture, e allora diventerebbe questione di valori aggiunti, che però non sarebbero sufficienti per riportare all’equilibrio attuale. Si dirà che l’esempio pone condizioni restrittive, ma l’esempio non è generalizzabile nei numeri, ma come tendenza di fondo e vi giocano tre elementi preliminari: a) la fissazione iniziale del cambio, ma il marco, solo contro il resto del mondo, dovrebbe subire ingovernabili assestamenti sui mercati internazionali; b) dipende da come vengono fissati i listini sui mercati esteri ed è difficile pensare che gli americani accetterebbero di pagare i debiti da import in DM, ma imporrebbero il loro $; c) bisognerebbe tener conto anche della differenza tra il tasso di inflazione statunitense  e quello minore tedesco, che finirebbe per incidere sul cambio reale $/DM Ciononostante, il problema di fondo esiste e sul punto dell’import-export si può fondatamente affermare che la Germania si è avvantaggiata notevolmente e per lungo tempo della debolezza dell’€, che ha avvantaggiato sensibilmente le proprie esportazioni, a prescindere dalla teorica simulazione sopra ipotizzata, ma a danno concorrenziale degli altri paesi europei in competizione con gli stessi prodotti tedeschi e in particolare l’Italia, come si dirà più avanti. Oggi, soprattutto certa stampa superficiale si lagna del cambio intorno a 1,25 $ per 1 € ritenuto basso, ma dimentica le proprie lamentazioni di quando il cambio era a 1,50 e le esportazioni italiane erano penalizzate.

Ma grandi vantaggi la Germania li trae sui tassi di interesse, perché, essendo quelli degli altri paesi europei  tarati sugli spread rispetto ai bund, ne deriva che la Germania, ritenuta la più forte e sicura, può gestire il proprio debito sovrano a tassi pressoché simbolici, mentre gli altri paesi più deboli devono pagare in più alti differenziali aggiuntivi all’Euribor, esasperando il problema della sostenibilità del debito, che continua a crescere.

Sul punto entrano in gioco la speculazione, i rating delle società americane e i giudizi delle banche d’affari statunitensi.

La speculazione è promossa da pochi cervelli seguita da uno stuolo di stupidi imitatori. I primi fanno i loro grassi interessi, talvolta dicendo una cosa e poi facendo il contrario; i secondi credono invece alle parole dei primi e riescono a trasformare nella loro massa d’urto un’onda agitata in tsunami. I fondamentali vengono ignorati e questo spiega perché dietro i tanto favoleggiati bund tedeschi non vengono valutate le debolezze della Germania, che ha un mercato del lavoro più ingessato di quello italiano, di cui non si accorge perché non è in recessione, mentre in Italia, che in recessione c’è da mesi, la rigidità del lavoro è più evidente, perché non è assorbita da una crescita che non c’è. Questo spiega, almeno in parte, i contrasti domestici sulla “riforma del diritto del lavoro”. La Germania ha anche  un problema sociale di immigrazione turca che è governabile finché tutto va bene; inoltre i lavoratori tedeschi sono meno efficaci e più costosi di quelli italiani; i tedeschi hanno minor capacità di risparmio di quelli italiani; le banche tedesche hanno più scheletri negli armadi (esposizioni verso i paesi dell’est europeo) più a rischio di quelli delle banche italiane. Lo si capisce anche dalla politica della cancelliera Merkel verso la Grecia, alla quale impone sacrifici insostenibili non certo per costringere alla virtù, ma per salvaguardare le proprie banche, dimenticando l’aforisma di Keynes: “se devi 1 sterlina a una banca il problema è tuo, ma se ne devi mille il problema è suo”. Questo la speculazione non lo considera, perché ignora i fondamentali, contando sul “mordi e fuggi”, dimenticando che se non si fa a tempo a fuggire si resta con il cerino in mano. Ma per la verità di questo stato di cose la Germania non ha colpe: si è limitata a sfruttare a proprio vantaggio una situazione che le viene quotidianamente offerta. Quindi, quando si sente deprecare la mancanza di spirito di fratellanza dei tedeschi, si pronuncia una grossa fesseria, perché altri farebbe di peggio, se ne avesse l’occasione. Si invoca la mancanza di spirito europeista, dimenticando che l’Europa è solo una espressione geografica e una unione monetaria malcreata e gestita come è possibile da una Bce, che non può fare miracoli.

b) il prezzo imposto all’Italia

La competizione commerciale e finanziaria più accesa tra paesi europei è tra Germania e Italia, soprattutto su prodotti manifatturieri della meccanica, prodotti siderurgici, filati, apparecchiature elettroniche, ecc. Non si capisce allora perché il nostro attuale premier faccia frequenti visite a Berlino per ricevere ordini o voti tra il 5 e il 6 meno meno, secondo gli umori di una cancelliera, che di economia deve capirne poco, a meno che anche il premier italiano sia al suo stesso livello. Ci troviamo nella stessa paradossale situazione di un imprenditore che va a chiedere al suo più diretto concorrente come orientare le proprie politiche commerciali. I guai dell’Italia si riconducono alla dimensione eccessiva del debito pubblico, pari al 120% circa del Pil e da almeno quarant’anni i nostri politici a turno elettorale fanno i finti tonti, ma lavorando alacremente per approfondire l’abisso. La crisi economica perdurante, alimentata dalla speculazione internazionale e nazionale, ha messo in luce tutta la drammaticità dei dati che corrono il rischio di andare fuori controllo. In uno studio recente della Bce, pubblicato sul proprio Bollettino di aprile, è stato posto con chiarezza il problema della sostenibilità in generale di un debito sovrano e la conclusione è che il rapporto Debito/Pil deve scendere sotto il 60%, cioè almeno la metà del rapporto italiano attuale. Per l’Italia, che soffre anche dell’alto costo degli interessi, spinti in alto dallo spread rispetto  bund tedeschi, comporterebbe in un tempo di medio periodo, il rimborso di oltre mille miliardi di €. A tal fine è prioritario un cambiamento radicale, istituzionale, ma ritengo prima ancora costituzionale, dell’invadenza di partiti, lobby, potentati, caste e poteri forti. Lo stato deve essere il potere forte, ma in via sussidiaria, per evitare di subordinare continuamente l’economia allo strapotere della burocrazia. Si tratta di dare al mondo un segnale forte di un cambiamento radicale nella gestione della cosa pubblica, per sopprimere le cause degli effetti devastanti. Dopo segnali forti iniziali, che la comunità internazionale non potrebbe non apprezzare con effetti positivi sugli spread e sui tassi di interesse, verrebbe il problema del rientro dal debito, che può essere risolto almeno in parte dalle dismissioni di beni pubblici e predestinazione irrevocabile del ricavato al rimborso del debito senza trucchi contabili. Dovrebbe aiutare il conseguimento dell’avanzo primario del bilancio statale e, tenuto conto che il rapporto strategico è il tristemente famose “Debito pubblico/Pil”, il successo dovrebbe essere garantito dalla crescita del denominatore, cioè del Pil, condizionato da una crescita economica, che non può nemmeno essere immaginata in uno stato fautore di politiche punitive e repressive dell’iniziativa privata e  che pratica la requisizione fiscale. È ben vero che l’Italia ha un Pil inferiore del 6% rispetto al punto ciclico della primavera del 2008, mentre la Germania ha recuperato la successiva caduta e continua a crescere, però l’Italia non deve andare a Berlino con la prova in mano di aver comprato la corda per la propria impiccagione, ma andare a Bruxelles e dire a chiare lettere di essere pronta a uscire dalla compagine, se non si trova il sistema per non ancorare lo spread non alla Germania, ma a un paniere di debiti sovrani oltre che tagliare le dita della speculazione, sulla quale soffiano le agenzie di rating e le loro collegate banche d’affari americane.

Per i politici italiani dovrebbe valere il memento che la verginità non si recupera a Casablanca, ma sarebbe già tanto smettere di frequentare il marciapiede.