Ci sono uomini che credono di identificarsi nei loro slogan. Sono convinto che porta male. Gli esempi si sprecano. Facta, Presidente del Consiglio nel 1922, soleva ripetere: “Nutro fiducia”. Gli storici non gli riservano alcuna fiducia e lo considerano meno di una calzetta. Mussolini ne aveva una corona, ma il più ripetuto fu “Me ne frego” e finì a Piazzale Loreto. Più vicini a noi: Oscar Luigi con il suo “Non ci sto”, biascicato con frequenza quotidiana prima di non starci più (finalmente), è nel giudizio corrente una calzetta, uno scalfaro… appunto. L’ultimo che si cimenta con le frasi fatte è Giuliano Amato: “Sarò la levatrice…”. Quest’uomo, che ha una presunzione inversamente proporzionale alla sua statura e una statura di statista invece direttamente proporzionale, si è messo in testa di fare l’ostetrica; ma non sa che levatrice ha come sinonimo “comare” o “commare” (dal latino con-mater, cioè “stare vicino alla madre”), che, però, ha anche altri significati negativi. Ma facciamo pure l’ipotesi che Amato voglia fare la commare-levatrice. Qui si pone un arduo problema biologico-politico. Una levatrice è una “con mater”, quindi sta con “una” madre, perché, anche se è vero che ci sono le provette e le inseminazioni incrociate con uteri vari in leasing, alla fine a partorire è sempre “una”. Ora l’Amato dovrebbe spiegare come farebbe mai a fare la commare di “una grande sinistra con tante anime”. Vuoi vedere che ha ridotto una moltitudine di anime a un solo utero? Nemmeno il ginecologo Antinori ci è ancora riuscito. No, professore onorevole Amato, dimentichi le grandi frasi a effetto; lasci stare perdere l’ostetricia e non la tratti come ha fatto con l’economia. Torni al suo insegnamento di diritto costituzionale; anzi, si metta in pensione a scrivere le sue memorie, come un generale che ha passato l’intera carriera al Ministero della Difesa, ma sa tutto delle guerre che hanno combattuto… gli altri.