Liquidazione delle società: norme di legge e principi contabili
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I rapporti tra norme di legge nazionali e principi contabili nazionali e internazionali in materia contabile, bilancio e istituti di diritto societario, pongono, innanzi tutto il problema della gerarchia delle fonti. Per costante dottrina e giurisprudenza le norme del Libro V del codice civile, compreso il Capo VIII (Scioglimento e liquidazione delle società di capitali), hanno preminenza rispetto ai principi OIC, in particolare al n. 5 e alla relativa “Guida operativa” del maggio 2010, poiché i principi contabili hanno solo funzione integrativa e interpretativa rispetto a quelli giuridici.
Con questa premessa, si può affrontare lo specifico tema degli adempimenti e della funzione degli organi nel momento in cui la società entra nella fase di scioglimento. Da quel momento la società cambia strutturalmente, qualunque sia la causa dell’evento liquidatorio (art. 2484 c.c.), in particolare:
a) gli organi gestionali (amministratori, ma non i sindaci) sono sostituiti dai liquidatori e a una attività dinamica subentra una fase di riduzione del patrimonio aziendale ad attività liquide nella prospettiva di estinzione e di cancellazione dell’ente dal Registro delle imprese (art. 2495 c.c.);
b) con l’avvento della liquidazione la società cambia oggetto, perché viene meno la “continuità aziendale” (art. 2423-bis, n. 1, c.c.) e l’obiettivo è la trasformazione in attività liquide del patrimonio aziendale a opera dei liquidatori. Questo mutamento di oggetto incide sui criteri di valutazione, non tanto per i liquidatori, ma, prima ancora, sul compito degli amministratori di redigere il bilancio del periodo che va dall’ultimo bilancio approvato di esercizio al momento della consegna ai liquidatori (art. 2487-bis, comma 3, c.c.). Si noti che si tratta di un bilancio infrannuale, ma redatto alla fine del periodo preliquidatorio, quindi con i criteri di valutazione applicati alla chiusura di questo periodo, alla quale data gli amministratori non possono ignorare il venir meno immanente della “continuità aziendale”. Questo è un punto molto delicato, perché, l’annullamento della prospettiva della continuità già basta di per sé, per non dimenticare la ricaduta sul bilancio infrannuale, che a nostro avviso, dovrebbe essere straordinario anche nei criteri di valutazione. Oltre a questo principio di logica, si deve considerare che l’art. 2486, comma 1, c.c. prescrive che dalla data «al verificarsi di una causa di scioglimento e fino al momento della consegna di cui all’art. 2487-bis, gli amministratori conservano il potere di gestire la società, ai soli fini della conservazione dell’integrità e del valore del patrimonio sociale». Si consideri che il lasso di tempo potrebbe essere di un mese o più, per convocazione di assemblea e altre formalità. Ci si chiede come potrebbero gli amministratori redigere il bilancio preliquidatorio con i criteri ordinari se per una parte (finale) del periodo hanno svolto solo attività conservativa.
c) sul punto precedente si deve osservare che l’art. 2489, comma 1, c.c. prevede che «…i liquidatori hanno il potere di compiere tutti gli atti utili per la liquidazione della società», quindi, genericamente e letteralmente, più poteri rispetto agli amministratori nella fase preliquidatoria, e ciò perché gli amministratori devono solo conservare, mentre i liquidatori devono più dinamicamente vendere l’attivo patrimoniale per poter fare cassa ed estinguere le passività. Nelle loro funzioni i liquidatori hanno il potere-dovere di portare a termine anche eventuali processi produttivi in corso, il che implica un’attività gestionale assai simile a un “esercizio provvisorio”. Se, per esempio, viene a scioglimento una società che produce macchinari complessi su commessa, i liquidatori non possono esimersi dal portare a compimento l’oggetto in fabbricazione, pena la perdita del valore del processo produttivo in corso e questa attività implica un’attività gestoria. Però, seppur in parole diverse, ciò vale anche per gli amministratori, che hanno la responsabilità personale e solidale, sancita dall’art. 2486, comma 2, c.c., per la mancata conservazione della integrità e del valore del patrimonio sociale. Anche questa constatazione porta a considerare che nel periodo preliquidatorio gli amministratori non possono restare semplicemente dei depositari degli enti patrimoniali e ciò incide sui criteri di valutazione del bilancio che precede la fase liquidatoria come già prima ricordato.
Sui due punti: criteri di valutazione del bilancio preliquidatorio e attività gestorie ante e post scioglimento, il codice civile sembra esprimere principi facilmente desumibili dalla lettera o dalla facile interpretazione ex art. 12 delle Preleggi delle norme civilistiche, tenuto presente il preminente rango di queste.
Inoltre, c’è il principio contabile Oic 5, per le società che seguono i principi di redazione italiani e la Guida all’Oic n. 5, che serve a supporto, invece, delle società Ias compliant.
Nel principio contabile Oic 5 si rilevano i criteri di valutazione relativi alla situazione patrimoniale ante liquidazione e i criteri di valutazione da applicare durante la liquidazione. Nella situazione ante liquidazione i criteri previsti sono quelli relativi all’impresa in funzionamento con eccezioni inevitabili dal momento che la società è entrata in liquidazione. Quindi, alcune partite come le immobilizzazioni immateriali, le rimanenze e i lavori in corso su ordinazione devono essere valutati considerando che non ci sarà continuità aziendale. Durante la liquidazione il principio Oic 5 individua due criteri fondamentali: il criterio di realizzo per stralcio per i crediti e il criterio di estinzione per i debiti.
La Guida Oic n. 5, che tratta invece le società Ias compliant, giunge alle stesse conclusioni dell’Oic n. 5. Laddove i principi contabili internazionali non forniscono indicazioni per le imprese in liquidazione, la Guida Oic suggerisce di usare i due criteri prima accennati, con l’aggiunta che per i crediti è possibile utilizzare anche il fair value al netto dei costi di vendita rilevati nello stesso esercizio.
E quindi è opportuno indicare qualche definizione utile ai lettori per comprendere al meglio i criteri di valutazione da adottare per la valorizzazione delle poste dell’attivo e del passivo di una società in liquidazione che segue gli Oic o che adotta gli Ias.
Il fair value al netto dei costi di vendita
Il fair value secondo i principi contabili nazionali (Oic 3) è il valore di scambio delle attività, ovvero, come precisano lo Ias39 (paragrafo 9) e lo Ias 32 (paragrafo 11), è «il corrispettivo al quale un’attività può essere scambiata, o una passività estinta, in una libera transazione fra parti consapevoli e disponibili».
Il valore di realizzo per stralcio
Il valore di realizzo per stralcio è il valore corrispondente al prezzo realizzabile, con la loro rapida vendita sul mercato (per i crediti, con l’incasso), al netto degli oneri direttamente connessi al realizzo (sconti, spese bancarie, eccetera). Il valore di realizzo per stralcio è normalmente inferiore al valore attuale di mercato dei beni, ma anche al costo storico con il quale essi sono iscritti in bilancio. E ciò in relazione alle straordinarie circostanze ed urgenze nelle quali i beni devono essere realizzati.
Talvolta il fair value è molto vicino al valore di realizzo, in particolare quando si tratta di beni di pregio, quali i preziosi, le autovetture d’epoca, l’antiquariato più pregiato, per i quali non è necessario calcolare prezzi di stralcio per poterli rivendere. Generalmente invece il fair value è più elevato del valore di realizzo per stralcio
Valore di estinzione
Il valore di estinzione è il valore corrispondente all’importo necessario per estinguere i debiti, comprensivo di interessi, commissioni, premi di estinzione se dovuti (esempio, per alcuni finanziamenti estinti prima della loro naturale scadenza).
In conclusione si constata che tra norme del codice civile e principi contabili nazionali, nella fattispecie l’OIC 5 e la sua Guida, non esistono contraddizioni, ma si devono seguire criteri di valutazione che tengano conto, seppur nel venir meno della continuità aziendale, dei due diversi momenti: il bilancio straordinario infrannuale degli amministratori fino alla liquidazione e il bilancio di liquidazione. Le diversità tra i due bilanci riflettono anche la diversità dei compilatori: gli amministratori prima e i liquidatori poi. Non diversa la conclusione se, invece della liquidazione dell’intera azienda, si trattasse di un ramo, ovviamente con la differenza che se si tratta di liquidazione totale, la liquidazione necessita della presenza del liquidatore o dei liquidatori, mentre se si tratta solo di un ramo, la liquidazione resta compito e funzione degli amministratori.
Sul concetto di ramo di azienda è opportuno ricordare che la Corte di cassazione, in sentenza 23 ottobre 2002, n. 14261, esaminando un caso concreto di cessione i ramo di azienda, l’ha definito: « un insieme di beni coordinati per l’esercizio di un’attività d’impresa, senza che sia necessario anche che tale esercizio sia attuale, bastando l’astratta idoneità allo scopo produttivo unitario.
In conclusione è […] il dato dell’organizzazione autonoma (che, del resto, non è mai configurabile come tale in relazione a qualsiasi ramo d’azienda, specie se relativo ad attività accessorie) non fosse preesistente al trasferimento, ma solo con la cessione si fosse realizzata l’unificazione di determinati servizi e attività in capo ad un unico soggetto, il quale era stato così posto in condizione di rispondere a domande del mercato.
Pertanto l’autonomia dell’entità economica (nel caso, i servizi generali) deve apprezzarsi in concreto, per il fatto che alcuni beni siano separabili dalla parte restante dell’azienda e, immediatamente (come accaduto nel caso concreto), senza alterazioni dell’organizzazione preesistente) siano in grado di consentire la realizzazione di servizi e prodotti richiesti dal mercato.
Né rappresentava un ostacolo l’eterogeneità delle attività cedute, essendo fondamentale, per integrare un’attività economica, la comunanza dell’attività delle maestranze trasferite che sia idonea a conferire alla stessa una vera e propria autonomia produttiva, comunanza consistente nel fatto che si trattava dei servizi ausiliari a quelli propri dell’attività produttiva dell’azienda, la cui prestazione era continuata senza soluzioni presso M. acquistando altresì l’attitudine (prima solo potenziale) di prestare gli stessi servizi anche a terzi».
Pietro e Giulia Bonazza
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