Un Leviatano…please!

 Gli spiriti scettici invocherebbero un “leviatano”, per finirla una volta per tutte con l’anarchia istituzionalizzata, gli scioperi selvaggi, la burocrazia che non funziona, la magistratura-padrona, i giochi trasversali dei partiti e delle lobby e chi più ne ha ne metta. Ma non funzionerebbe. Anche il “leviatano” in Italia è destinato a fallire, come la storia insegna. Quindi tanto vale tenerci lo straccio di democrazia che abbiamo, sapendo che in essa manca la condizione fondamentale: la divisione dei poteri, che è poi il rispetto degli altri nel compimento del proprio dovere. Su questo, Montesquieu non c’entra, perché non si tratta della triade: legislativo, giudiziario ed esecutivo, per la verità un po’ logora, anche per l’equivoco significato della parola “divisione”, spesso male intesa come conflittuale separazione, ma del duale: potere economico-potere politico.

In un paese povero, in cui i governanti debbono farsi carico di sfamare bocche numerose con pochi mezzi, il potere politico non accende troppi pretendenti, perché gli ambiziosi-onesti sono rari per natura e i disonesti sono pochi per scarsità di ricchezza da depredare. Ma in un paese ricco…! E l’Italia è sì povera, ma gli italiani sono ricchi – si sostiene soprattutto dalla “povera” insaziabile Germania – e questo sollecita occhiute mire politiche. Se si accetta la tesi che esiste un rapporto causa-effetto tra qualità della democrazia di un popolo e ricchezza della sua economia, risalendo dall’effetto si dovrebbe constatare che l’Italia è una grande democrazia. Sennonché non si riesce a spiegare, a meno del ricorso al mistero, come mai non lo sia.

Scriveva Raymond Aron, coscienza critica di un Occidente dominato da intellettuali oppiati di marxismo (ora di finto revisionismo): “ Oltre la cortina di ferro, potenza economica e potenza politica sono nelle stesse mani… La separazione dei poteri è condizione della libertà. ” 

Ma anche l’Italia era, in economia e forse non solo in economia, “oltrecortina” e allora fu necessario avviare un “processo di privatizzazione”, alla cui origine vi è però il vizio di averlo scelto non per maturazione di pensiero democratico, ma perché la classe politica non riesce più a giustificare alla collettività lo sperpero di risorse a sue spese. Si spiega così perché la barca non salpa e sta alla fonda anche quando il vento spira favorevole, perché la seconda Repubblica è ancora una terra lontana, perché le opposizioni preferiscono la piazza al Parlamento, i girotondi, le sfilate in tuta, perché uno schizofrenico spara un colpo contro gli alleati e uno contro gli avversari, riservando il terzo a se stesso, perché la comunità economica internazionale non crede a questa gabbia di matti che continua a essere la “porca Italia” di Prezzolini.  Può darsi che gli italiani abbiano i governanti – opposizioni comprese – che si meritano, ma questo è un giudizio da lasciare allo storico o al sociologo; l’economista considera più semplicemente che nella formula dell’interesse il tempo è elemento essenziale e che basta un segno meno davanti, il marchio del debitore, perché diventi sconto. Il resto è aria fritta alle gengive in una bocca sdentata.