Non ho mai provato simpatia alcuna per quel politico, che inviato per sette anni ad abitare il Quirinale, si immedesimò in un ruolo di “padre della patria”, versione aulica del suo innato populismo. Però, ai miei occhi o meglio alle mie orecchie, un pregio l’aveva: si chiamava Sandro Pertini, punto e basta. Nemmeno Alessandro. Semplicemente Sandro, come il tuo compagno di banco, con cui barattavi una biro per la figurina di Maradona. Si vociferava anche che, se offriva un caffè, lo pagava di tasca propria. Che vuoi di più da un presidente? Poi, dopo una parentesi sardo-francescana, venne un politico complicato anche nei nomi. Guai dimenticarsi che doveva essere sempre appellato Oscar Luigi, nemmeno Oscarluigi. Giusto, corretto; anagraficamente parlando. Però, per sette anni una simile tiritera! Poveri giornalisti, soprattutto i piaciosi mezzi busti televisivi, che non potevano mancare l’attenzione per lo stacchetto, per non parlare degli informatici, che trattano una materia insofferente dei buchi. Anche lì, non potendo scrivere un Oscarluigi tutto d’un fiato, dovevano ripiegare su un Oscar_Luigi, con lineetta supposta. E fosse stato solo nel nome! Quello, memore di cinquant’anni di politica parlamentare, ritenne che la “politica” fosse anche una Musa del Quirinale. E, da quell’artista che era, con la Musa “convisse”. Il tempo passa e spazza anche le tracce, che come direbbe Machado, sono estelas en la mar, “scie nel mare”. È rimasta solo la memoria del disagio di quel nome. Ora i tempi sono cambiati. Al Quirinale c’è un inquilino con altre provenienze: senso democratico e non pertiniano populismo, taglio misurato nei messaggi alla Nazione e non retorica scalfariana. Però… quel doppio nome scomodo e démodé! Certo… mica possiamo ribattezzarlo Luca o Matteo, che tanto vanno di moda. Ma non possiamo nemmeno suggerirgli di pertineggiare facendosi chiamare Carlètt. Oltre tutto lui non è meneghino o cremonese, ma livornese. Lasciamo perdere…!