Gli italiani non potranno dirsi inventori dell’economia politica moderna (però, con Galiani e Beccaria, è tutto da dimostrare ), ma vantarsi di aver inventato la “ragioneria” sì e ce lo ricorda lo storico Carlo Maria Cipolla, nel suo testo Introduzione allo studio della storia economica, che riporta il giudizio del capocontabile dei Fugger: « La contabilità è paragonabile ad un salvadanaio ed è un’arte operativa, raffinata, ordinata, corretta, divertente, bella e succinta per le attività dei mercanti ed è stata inventata dagli italiani. » Goethe, che era uno spirito universale, pur non informandoci se Faust tenesse un libro mastro, scrisse che «…la contabilità in partita doppia è “una delle più belle invenzioni dello spirito umano.» Con tanta ricchezza ereditata, non si capiscono le lotte giudiziarie dei ragionieri per un titolo di “commercialista”, che non ha certo pari storia gloriosa, soprattutto se si constata che la ragioneria è uno strumento per capire l’economia e non viceversa . Nel noto manuale di macroeconomia di Gardner Ackley si legge: « La distinzione più importante (ed il fatto di averla trascurata ha spesso provocato moltissima confusione) è quella tra variabili di stock e variabili di flusso…La moneta è una variabile di stock, le spese e le transazioni in moneta sono variabili di flusso; il reddito è una variabile di flusso, la ricchezza una variabile di stock… » Il Nobel John Hicks, economista tra i maggiori del secolo e teoreta inventore di raffinate astrazioni, scrive in una delle sue ultime opere : « L’economista moderno ha imparato molto, a proposito della distinzione fra stock e flusso, dal lavoro del contabilto Questi, infatti, cercando di adempiere al compito che gli è stato affidato di fornire un resoconto “vero e degno di fede” dei risultati di una attività economica, per primo si è trovato costretto a raccogliere le sue registrazioni in forme di entrambi i tipi, da lui nettamente distinte. Egli teneva, da una parte, un conto di stock, il bilancio; e dall’altra, numerosi conti di flusso (conto commerciale, conto profitti e perdite, eccetera). » Dopo questi riconoscimenti, all’umile ragioneria può essere restituita quella dignità, che tanti accademici nostrani, timorosi di diminutio, negano a favore di una qualche aggettivata economia, più giustificativa di una cattedra (in veneto: cadrèga) che di una disciplina.